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282 Diario sentimentale

stiti all’anglosassone, le donnine serpentine vestite alla francese. Sì, carine, carini! ma che umanità minorata!

E mi ricordo con quanta schietta ammirazione io lo ascoltassi. Io coi capelli molto grigi, io da tanti anni — per mia sventura — professore!

E credo che Renato Serra mi stimasse e mi volesse bene anche per questa mia umiltà nell’ascoltarlo, perchè, ben si sa, che nelle discussioni l’uomo quasi mai ascolta con piacere o ammirazione quello che altro uomo dice.

E io gli dicevo: «Ma lei, Serra, dovrebbe almeno essere professore di università».

A lui non importava proprio niente. Io ne incolpavo le democrazie, il socialismo, e lui benevolmente, con un suo lento: «Ma no, caro professore», mi faceva capire che io ero come un bambino che incolpa la gamba del tavolino perchè si è fatto male.

Credo che se ambizione era in lui, era di creare cose vive: creare!

— Le cose vive — gli dissi una volta — che l’età nostra crea, si chiamano macchine.

E ben ricordo come, recitando egli antichi versi immortali, le pupille gli si chiudevano, la voce si deformava in modo che un estraneo che avesse udito, si sarebbe messo a ridere. E non so come,