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di Alfredo Panzini 263

folata di vento dissipa la nèbbia: ecco vèrtici verdi con sinistri bagliori di sole, abissi, terra che strapiomba. La terra che precìpita? È capovolta la terra? Come un invito al suìcidio! Che aspetto nemico ha la terra colà dove manca l’uomo! Oh, ecco una capanna di carbonai, fatta di piote e frasche. Finalmente l’uomo! No! la capanna è deserta. Dove siete voi, o fratelli carbonai?

Oh, ecco, laggiù sotto di noi, un azzurreggiare tenue, un biancore: la Valle della Magra,

Ma sin laggiù conviene scendere? A che altezza sono io? Io sono in alto come un Dio dell’Olimpo.

La guida ha smarrito la via!

— Se hai smarrito la via per Pontrèmoli, non importa. Scendiamo comunque per trovare uomini. Quanto bisogna rotolare e scèndere ora per questi macigni per trovare uomini? Gli Dei dell’Olimpo sorvolavano.

— Avete visto un campanile? Dove?

Dalla profondità della valle giunge un suono. È il campanile? No.

È un campanaccio di màndrie. Si allarga il cuore: è un suono di umanità. I vèrtici dei monti, color di smeraldo, ferìscono di traverso le nubi fra barbagli di sole. Sono le quattro e mezzo. Pensare che un’ora e mezzo fa eravamo lassù! E mi