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di Alfredo Panzini 237


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Milano, buia come ai vecchi tempi, vecchia via Fiori Oscuri, vecchio palazzo di Brera, piccolo uomo tremante, dove sono andati cento anni?

Rivedo l’ombra di Giovannin Bongèe.

Rifiuto il barbera. Proseguo per la mia strada.

In via Borgonuovo, mi sorprende il palazzo dell’Accadèmia scientifico-letteraria. Ecco una Ditta, quasi tedesca, che hanno dimenticata.

Incontro il magnìfico signore, signor X. Y...

Rincasava. Anche lui sa tante, tante cose che gli altri non sanno.

— Tutto va male, male, male! — Sa il numero strepitoso dei morti, non annunciato nel bollettino di guerra; sa che il Kaiser ha distaccato un milione di bavaresi per piombare su Milano, su Roma. Sa che i tedeschi ci òdiano, ci òdiano... Sa che l’Italia sarà disfatta. L’ha detto il generale Y..., il diplomatico Z..., il barone X... Impossìbile difenderci! — Non capite? Da che mondo venite? Non vedete i richiamati come cammìnano? Manca tutto. L’Italia è sola contro il tremendo, nefario nemico, che ci òdia, ed ha ragione di odiarci come traditori. Francia? Belgio? Russia? — Si mette le mani dove una volta èrano i capelli. — E poi... — dice con un filo tremebondo di vo-