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222 Diario sentimentale

luogo, sono attore di una scena quasi consimile. Eppure non acquisto bene la conoscenza della mia azione scenica se non vedendola rispecchiata in altrui. Già, è molto commovente.

Il diretto parte per Verona, zeppo di ufficiali. Il giovane tenente del genio X..., studente del Politecnico, mi dice per ultimo saluto: — Vedrà che belle cose faremo!

È ebbro di fede.

— Così bisogna essere! — mi dice il sotto capo stazione Piccioni, agitando prima la mano in alto fuori della manica dello stiffelius e poi battèndomela su la spalla. Io non entro in discussioni con l’amico Piccioni, se no mi si attacca e mi legge i sonetti.

È una malattia che gli è venuta, questa di fare sonetti, che se no sarebbe un capostazione modello: zelante italiano, aristocratico, una memoria da sbalordire: sa tutti i treni che arrivano a Milano in un giorno, e se in prima, seconda, terza linea.

Io gli ho detto che i suoi sonetti sono belli, ma che adesso non usano più. Non ci sente! Quando lo conobbi da ragazzo, in Romagna, non aveva questa malattia.

Ma che strane parole quel giovane, ufficiale del genio: «Vedrà che belle cose faremo!»