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216 | Diario sentimentale |
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Discorso del d’Annunzio ai Romani. Pare San Paolo. La crosta letteraria è caduta. L’uomo è trasfigurato! È il politico, il deputato d’Italia per conclamazione. Felice te, o Poeta, che hai la forza di non più considerare per una cosa sola considerare!
Allora l’uomo non è finito, — come dicono i letterati — sed resurrexit! Un uomo, vissuto sino oltre i cinquant’anni in compagnia delle debilitanti Muse, e che conserva i nervi a posto, tesi all’azione, è un gran fenomeno!
Ah, sii il navarca, lo stratega, il despota!
Io credo che egli sia sincero come pochi altri; ma egli è tradito da non so che cosa che ha dentro, per cui come a Mida in oro, in lui tutto si trasmuta in sensazione di bellezza!
Questa Italia in armi è bella!
Mi pare che il genio del D’Annunzio sia così grande e proteiforme che egli stesso è dominato dal suo genio.
Dicono i maligni che gli hanno pagato i dèbiti; ma è pur sempre un gran fenomeno! Eppoi? Macchè debiti! Un poeta non ha debiti, e quando dice ai creditori: «non mi seccate», non deve essere seccato.