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di Alfredo Panzini 185


tana Milano e la sua mastodontica architettura berlinese! Ville lombarde patriarcali, collicelli, glicine in fiore, rose specchiantisi nelle verdi acque correnti, campi stellati di fiori, grano, viti con le foglie tènere; casolari e occhi di bimbi.

Un prete trèmulo e canuto su la soglia del sagrato, — eremo puro nella primavera, — saluta con un sorriso gràcile la assisa grigia del giovane soldato d’Italia. Bimbi giocano sul sagrato. Dice il prete ai bimbi, nel suo bergamasco accento: — Se mancate di rispetto al prete, cosa farete?

Allibiscono i bimbi!

Oh, il goffo accento bergamasco! Volti curiosi di uomini! Baffacci pendenti, menti neri, cappellacci su la nuca, bonari bevitori (brillo, birillo, porcillo, dicono per indicare i tre gradi dell’ebbrezza potatoria).

Si parla del d’Annunzio, del suo discorso. — D’Annunzio? Un gran sincero! Non ha, come l’Ulisse dantesco, varcato le colonne d’Ercole: ma ha girato per tutto lo zodìaco umano: la virtù come il vizio gli sono passati vicini e uguali, cioè grandi cose dell’uomo. La sua vita è la sua letteratura.. Unico, forse, egli ha dato valore spirituale a ciò che gli uomini e le donne tenevano in occulto, come disonorevole: il piacere! Ne proviene che il pensiero di lui, pur espresso con màgica parola, non è in dislivello, ma al livello dei più.