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di Alfredo Panzini 181


fico per l’umanità. Ci credono alcuni infatuati, appartenenti alla bassa forza del pensiero. La guerra non paga nessun dèbito: tutt’al più apre nuove partite.

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5 maggio 1915.

Vado, non a Quarto dove vanno tutti, ma a Gorlago presso Bergamo a trovare Rèbora, ieri professore, filosofo, poeta: oggi sergente di fanteria, aspirante agli alpini, perchè gli alpini — dice lui — sono la più bell’arma d’Italia. Pensare che Rèbora adora Nietzsche!

Dal finestrino del treno i villani pèttinano con amore la nuova terra risorta. Quando la guerra tutto devasterà? Cosa state a lavorare? Fra poco passerà la guerra anche di qui. Ma no! il filo dell’erba è forse la sola cosa che il tedesco non potrà distruggere. Lo calpesterà: risorgerà.

Leggo, riprodotta nel Corriere, la orazione del d’Annunzio per la sagra dei mille. Come componimento letterario è molto bello, ma tutti quelli aggettivi e comparazioni: stirpe leonina, ossa dure, anime protese, il re, richiamato dalla morte, e che venne dal mare ecc., altra volta li ho conosciuti. Beati sì, beati quelli che muoiono per la patria! Beati i poveri di spirito, beati i puri di cuore, bea-