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di Alfredo Panzini 173


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4 maggio 1915.

M’è venuta un’idea: fare un dono ai soldati. Una specie di corazza d’acciaio, non più grande di un grosso cuore, come un scapolare che difenda i grossi vasi, e a forma carenata o di petto di uccello, sì che il proièttile vi scivoli sopra.

Poi una calotta d’acciaio che difenda il cranio.

Quanto ho girato per questa cosa!

Vado dall’ing. P.. Mi dice: — Manca l’acciaio assolutamente, mancano macchine utensili per punzonare. Gli stabilimenti metallùrgici lavorano tutti per il governo.

Vado da un mèdico militare. Proposta non nuova. Due ore di colloquio atroce. Calmo come un buddista, quel signore mi spiega l’azione dei proièttili moderni, palle dum-dum, ferite deformanti, orribili. Azione di trauma interno senza lesioni esterne per iscoppio di granate, spappolamento di visceri. Civiltà, barbarie, mine terrestri, gas asfdissianti. Mia proposta utopistica. — Però presenti un modello.

Ah, la umana ragione!...

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4 Maggio 1915.

Mutamento di scena. Prima di tutto tradi-