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di Alfredo Panzini 163



Il bimbo belga dalle braccia mutilate, mi balzò davanti.

Non potei più mangiare.

— Sembrano bambini!

L’oste sorriee, poi disse saviamente: — Bisogna pensagh su, ma minga tropp!

— Lasci stare le rane, — aggiunse per consiglio — e mangi il riso soltanto, e beva il brodo.

— È inutile! Non ci riesco. In verità, in Italia vi sono ancora individui troppo sentimentali.

Via, torniamo a Milano.

L’oste mi pregò di non «fargli torto» un’altra volta e di venire ancora alla sua osteria.

Ed era cosa strana come il bravo uomo insistesse sull’idea dell’onore, l’onore nella sua osteria, l’onore nel suo vino, l’onore nella sua famiglia!

E per l’appunto andava ripetendo:

Sem daccord che in sto mond chi pussè che onor ghe minga, no! Si può essere papa, imperatore, ma siamo d’accordo che in questo mondo qui, di più assai che l’onore, nulla è!

E dire — pensava tra me — mentre il tram giallo si allontanava e il campanile di Baggio scompariva nel biancicore del giorno luminoso — che a Milano si suole ripetere per motto di dileggio, come a dire: «va a farti friggere», andare a Baggio a suonar l’organo!