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di Alfredo Panzini | 125 |
E Giosuè Carducci, che vide nel chiaro inverno la fosca turrita Bologna, dov’è?
Muoiono i poeti, ma tu fiorisci come le viole, ad ogni primavera, o Biancofiore! Ed è quello che importa. Tu non muori mai!
Ho posseduto anch’io — or mi sovviene — una piccola Biancofiore.
Oh, chiaro viso di pervinca!
La faccenda non durò oltre un maggio. Pane e salame sotto la frasca d’una osteria di campagna, era una grande ricchezza. Ma strano ricordo! In una esuberanza di vita, io sentivo la voglia di distruggere: sassate contro i pioppi ed i nidi, sassate contro i rospi nei fossati. Ed ella mi fermava il braccio, e ripeteva: «Lasciali vivere! Lascia vivere, carezza mia, le botterelle».
Io crudele? io uccisore? Semplice esuberanza di vita.
Chi sa che questa guerra non sia un l’effetto di esuberanza di vita? E Biancofiore, èccola ancora qui, attonita, che previene le viole e le generazioni.
***
Finalmente il tram, giallo! e più che il rumore, mi avvertì la luce che saliva dal fanale: poi uno stridere su le rotaie in curva. Era buio, oramai.