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di Alfredo Panzini 97

come diceva il popolo a Roma. Impossibile però era per noi prenderlo sul serio! Quei discorsi imprudenti che, sùbito, un qualche gravissimo personaggio della Dieta germanica si affrettava a mettere in sordina, quel Dio terribile in capo linea di tutte le falangi delle sue concioni militari, era qualcosa che faceva sorridere la nostra borghesia!

Ci voleva tutta la sancta simplicitas dei germani per tollerarlo. Ammirava egli, il Kaiser, i nostri diroccati castelli imperiali, ricordo degli Ottoni, degli Hohenstaufen? Ma noi, potendo, glieli avremmo ben spediti tutti per pacco postale, in Germania!

«Badate però — dicevano molti — che sotto quella teatralità si nasconde un omarino che sa lavorare molto bene gli affari del suo paese».

Questo personaggio, ora, improvvisamente, è balzato dal palco scenico nella più tragica realtà. La rocca forte della social-democrazia non l’ha abbattuta, ma più semplicemente: su di essa egli ha inalberato il gonfalone imperiale con lo stemma del santo augello dantesco. Tutti ne sono impensieriti.

Questo è un fatto: il socialista tedesco Haase ha dichiarato nel Reichstag: «Nell’ora del pericolo noi siamo per la patria!»

E siamo sinceri! Anche nei tanti congressi in-