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consorte. Ma ci pensò lui, il conte, a stuzzicarglielo l’appetito, che da un laghetto sull’Alpe lontana faceva venir giù certe trotelle, certi panierini di fragole selvatiche, certi formaggi che fanno i pastori, certi funghi...! Tutta roba che si trova sul remoto Appennino, e non è facile conoscere la via, i mezzi, il tempo per acquistarla. Ma il signor conte, gran cacciatore, conosceva la montagna a palmo a palmo, e sapeva in quale gorgo di fiume matura la trota, in quale selva cresce il lampone e la fragola.
E che dire della caccia? O, quanti pennuti, già felici fra i ginepri e le forre montane, quante gallinelle, quante starne, quante quaglie furono dal micidiale piombo del conte sottratti alla libertà ed alla vita e presentati come omaggio alla inappetenza della signora Fanny!
Fu così che la signora Fanny cominciò ad acquistare l’appetito; ma il signor conte cominciò a perderlo.
Un giorno gli caddero molte lagrime sopra due quaglie, le cui compagne erano state consegnate alla cuoca della signora Fanny, e allora pensò:
— Ma perchè piango io, sciocco che sono mai? Se quel povero colonnello fosse in vita, allora sì avrei da disperarmi; ma poichè il colonnello è morto..., io ben la posso sposare.
Pensar questo fu cosa facile.
Ma se il conte ci riusciva ad offrire le quaglie e le starne, ad offrir se stesso non ci riusciva: