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bilmente piedi troppo lunghi. È orribile: queste donne lombarde hanno tutte i piedi lunghi.»
Ella scomparve dietro la portiera della chiesa.
Io entrai.
La chiesa era deserta, infatti. Lei mi affrontò. Due bianche belle mani sollevarono la veletta.
— Voi non mi avete veduta mai da vicino — disse. — Voi siete artista e questo pensiero mi turba un po’. Sono quello che sono, così: guardatemi. Vi piaccio?
Dio, che caro volto, che tremore nelle pupille, che candore nei denti! Ma io pensavo a quei piedi, e poi aveva quell’altra idea fissa in testa. Vedi, quando io ricordo tutte queste cose, io corro alla buvette a bere assenzio e domando:
«Un assenzio per questo cretino.»
— E la voce? — io domandai.
— Ma deliziosa, amico mio: tutto delizioso.
— E cosa ti disse?
— Cosa vuoi che possa ricordarmi io che vivevo dentro un’idea fissa? Mi fece, ecco, capire che bisognava che mi decidessi: o prendere o lasciare. Quella insistenza mi turbava. Io mi ricordo che sentivo il suo piccolo tacco battere impazientemente come tu faresti se fossi un maestro di musica e udissi delle stonature.
— Ma di positivo che cosa hai detto tu?
Di positivo? ho domandato: Signorina, lei mangia la busecca?
Mi guardò trasognata.