Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 55 — |
cino, e con aria troppo beffarda soleva passare presso di noi, lungo la spiaggia del mare. Io vi assicuro che più volte ero stato preso da un impeto folle di affrontarlo, e soltanto per riguardo alla dama me ne era trattenuto, per timore che egli beffardamente mi dicesse: «E lei chi è? che c’entra?» Ora il sospetto che colui, o altri per lui, avesse, durante il mio sonno, fatto rapire il foglio, mi si presentò come cosa certa, per effetto dell’immaginare mio fallace; tanto più che l’uscio della stanza era rimasto aperto. Misi in tasca il coltello, stavo per lanciarmi fuori, quando rassettando rapidamente le cose mie e raccogliendo quei fogli sparsi, m’avvidi con stupore profondo di una cosa non sospettata.
Ecco: durante il mio sonno, le mosche avevano fatto colazione con la mia lettera. Avevano mangiato col sangue le mie parole d’amore.
Il foglio non era stato rapito; era stato succhiato dalle mosche. Ecco perchè esso era tornato bianco come prima. Quali pensieri mi germogliarono in mente, non vi saprei dire: ma ricordo che guardai le molte mosche appollaiate sui vetri: esse parevano godere di una eccellente digestione. La mia idealità era stata divorata dalle mosche!
Allora avvenne quel disorientamento nel mio spirito di cui vi parlavo in principio; o se vi pare, un nuovo orientamento.
— Avete rifatta la lettera con l’inchiostro?