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della testa! Doveva essere una espressione polacca.

Per conforto io dovevo cantare.

— Voi cantavate?

— Certo, come italiano io avevo il dovere di sapere cantare e cantare canzoni napoletane. — Canta, bell’italiano! — diceva.

— Anche «bello» vi diceva?

Era nient’altro che un epiteto ornativo: tutto ciò che era in Italia godeva di questo aggettivo, eccezione fatta dei bottegai. Povera e buona signora! Del resto io ero assai bello, nè mi vergogno, oggi, di dirlo: bello di quella bellezza maschile, forte, che io non so se l’esotismo della moda, oppure il positivismo hanno fatto perdere a voialtri, giovani moderni. Concedetemi la divagazione: voi moderni siete brutti: la virtù fisica maschile è appena sostenuta oggi dagli ufficiali; e quelle signore che oggi sono così fiere propagandiste dell’antimilitarismo, dovranno creare, forse, un militarismo pacifico ed artificiale in omaggio alla bellezza virile. Ma sapete che siete ben goffi, ben menci coi vostri abiti razionali? Noi, romantici, eravamo belli. Alto io ero, nerboruto, con due calzoni assaettati, stretti sì che i muscoli delle cosce guizzavano: voi oggi portate le gonnelle, non i calzoni, e qual meraviglia se le donne vogliono adottare i calzoni? Portavo io, allora, coturni da cacciatore, feltro grigio, giacca stretta al busto e così cantavo,