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— Ora, ragazzo, s’il te plait, torniamo alle Olimpiadi e al tuo professore — disse.

A me parve come di essere desto dal sogno in cui il Veglio della Montagna immergeva coloro che gli dovevano essere devoti sino alla morte.

Io non ne volevo più sapere nè di Olimpiadi, nè di scuole.

— Voi siete ben goloso, mon petit. Torniamo alle Olimpiadi.

In quell’ampia vestaglia ella si era rannicchiata in fondo ad una poltroncina.

— Mettetevi lì, e buono. Già bisognerà fare così! — Prese un tavolino e lo collocò fra la sua persona e la mia a guisa di bastione. — Posso offrirvi?

Mi porse una sigaretta: ne accese una per sè.

Devo confessare che la mia mente era così annebbiata che se colei mi avesse detto: «manda i padrini al tuo professore, e battiti a duello», io avrei trovato il consiglio naturalissimo.

Invece il suo consiglio fu molto savio e rivelò molto acume. Aggrottò le ciglia e disse:

— Tu capirai che lui dovrà pensarci due volte prima di formulare l’atto di accusa contro di te. In fondo è un atto di accusa contro di sè.

— To’, è vero!

— Ma non basta: la sua rabbia è appunto in relazione alla impossibilità in cui l’hai messo di punirti...