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vocante che terminava in due scarpette alte e lucide. Era una grisette graziosa, nascosta dalla figura del giovane ed appoggiata al davanzale. Si voltò: apparve un volto birichino di giovanetta, con un nasetto all’insù. Curva sul davanzale, la cara fanciulla si lasciava lisciare molto dilettosamente.
«Anch’io, se ben mi ricordo, vent’anni fa devo aver fatto qualcosa di simile — pensò senza rancore il barbuto signore — e certamente era una cosa molto piacevole. Anzi si può affermare che le osterie suburbane sono una succursale del paradiso; ed un’ostessa che tiene pronte le tagliatelle e delle uova e delle bistecche, l’estate specialmente che fa gonfiare i papaveri, ella è una benemerita del genere umano; e tutte quelle buone cose da mangiare in due, fra il verde, rappresentano come degli zeri aggiunti all’esponente ben miserabile della felicità.»
Queste cose pensò il signor Aurelio mentre la Pina contemplava nella sua innocenza un piccolo gnomo di terracotta, che la guardava dalla sua gran faccia di satiro ridente.
«— La presenza delle terze persone — continuò il signor Aurelio — non è piacevole, e noi certo non siamo piacevoli e bene accetti a quei due innamorati».
Per questa ragione, dopo aver disegnato sulle labbra un garbato sorriso, il signor Aurelio non esitò a parlare così: