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vase al nuovo possesso, evidentemente doveva provenire da questo: cioè che ora possedevo un re autentico, non di cartone, ma vivo; un re dell’aria; un re anzi prepotente e crudele, ma che adesso si trovava sotto la mia giurisdizione assoluta, astretto in catene e sul quale io certamente avrei avuto finale vittoria. Era il medesimo giuoco che continuava, soltanto che la finzione aveva una parvenza di realtà.

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Li avea visti spesso nel cielo i falchi o, più esattamente, me li avevano indicati.

Nel cielo lucido del mattino aveva visto certi uccelli che un più trionfai giro volgevano nel cielo: poi si libravano in alto e disparivano nella superba profondità dell’azzurro. Ne avea chiesto ai villani e quelli, sospendendo il placido lavoro della vanga: — Son falchi! — dicevano, — tutta l’aria ubbidisce a loro: quando ci sono quei signori lassù, non vedrai altri uccelli volare e cantare.

Ora un falco stava in mia balìa e lo contemplavo con avida curiosità per iscoprire il segreto della sua potenza. Lo avrei pensato più grande, come un tacchino almeno o un pavone. Era un piccolo re, grosso come una colomba. «Sei un piccolo re!» gli dissi.

Piccolino era infatti, liscio, grigio, con due