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— Cosa succede? — chiese voltando la testa verso il compagno di viaggio.
— Probabilmente bloccati.
— Ah! Verranno a sbloccare.
— Speriamo bene, signora.
Può fare sempre piacere ad un filosofo il constatare che la piccola graziosa neve ha forza di arrestare una macchina enorme e nera, simbolo del progresso; come la pudica acqua di affondare un transatlantico; come un microbio invisibile di uccidere un uomo: ma è bene non trovarci in simili casi.
La verità cruda non tardò a farsi strada: treno bloccato in aperta campagna: avanzare e retrocedere impossibile: segnalazioni insufficienti: telegrafo rotto: macchina spenta.
Prospettiva certa: cinque ore di blocco, almeno, cioè il tempo da permettere alle guardie di percorrere i venti chilometri lungo la linea sino ad arrivare alla stazione da cui erano partiti: poi aspettare la locomotiva liberatrice. Altra prospettiva molto più probabile: la notte in treno, senza calore e senza luce perchè la caldaia era già spenta.
Quando la signora seppe questo, fece anche lei come tutti nel treno: protestò: il treno era un coro di proteste. La signora aggiunse la sua voce esotica al coro, con speciale sintesi diffamatoria verso l’Italia.
— Viaggiato molto — diceva — ma mai visto