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traverso un ingombro immenso del treno: bagagli, gente.

— Qui è interamente vuoto — disse infine, indicando uno scompartimento di prima classe.

— Se permette, ci sono io — disse al conduttore un signore che era lì, in piedi, nel corridoio; ed indicò il suo grosso sciallo buttato nell’angolo.

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Questo signore era piccolo, anzianotto, sbarbato e fiorito nel volto: però aveva un bellissimo naso grosso, ed un bellissimo ventre, sporgente da un bellissimo pastrano da viaggio. La sua testa pelata era difesa da un cupolino di seta. Egli stava a guardare dietro la grossa lastra di cristallo ciò che avveniva nella stazione, e con una mano grassoccia, adorna di un pesante anello, fumava un vile toscano: da che si poteva arguire che quel signore era italiano, non straniero.

All’avvicinarsi della dama egli ritirò con bel garbo il ventre, e la dama passò; passò perchè era sottile, ma la si contorse come per evitare il contatto di quel ventre, di quel naso, di quel puzzo di vile toscano. Ma per entrare, la sua alterezza dovette piegarsi da una banda perchè il cappello non entrava.

Tranne il cappello, che fra veli e piume e spilloni, era di una complicazione ammirabile, tutto il resto era semplice: una gonna nera, un’ampia giacca di lontra, nel cui mezzo era po-