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avrebbe condotto al precipizio, ond’ è che Giulio III (1550-’55) con una Bolla citata da Delrio1, dallo Spee2 e da altri, che io però non seppi trovare, ordinò, per iscenare l’abuso della tortura, che questa non si protraesse oltre un’ ora di tempo, e meglio ancora Gregorio XV colla Bolla “ Omnipotentis Dei „ del 20 marzo 1623, ingiunse, che i rei di stregheria non si mandassero al supplizio, se non fosse provato, che avessero cagionato la morte di taluno; gli altri si dovevano punire di prigionia. Vero è però, che troppo facilmente si potevano eludere e si elusero cotali disposizioni!3

Vero è altresì, che se i difensori della giustizia e della verità osavano finalmente alzare con coraggio la voce, non mancavano però i difensori delle inique pratiche e delle superstizioni. Ma di questi non ci occuperemo, perchè la loro condanna seguì nel modo più autentico, già nel 1657. La Congregazione del S. Uffizio, a Roma, in cotesto anno, pubblicò la “ Instructio pro ormandis processibus in caussis strigum, sortilegorum et maleficorum, „ che è un documento in vero non molto considerato, ma, per mio avviso, di altissima importanza.4

La Congregazione del S. Uffizio, messa probabilmente sull’avviso dai libri del Tanner e dello Spee, non poteva essere più


  1. Lib. V. app. II, q. 27. Lo stesso Delrio non aveva sotto mano la Bolla, che designa colle parole: “ quædam Bulla Pauli III... „
  2. Op. cit. Dub. XXIII.
  3. L’insistenza incredibile degli inquisitori e la violenza dei tormenti erano tali, che le accusate si confessavano ree di omicidi premeditati e per maleficio, cui certo non avevano pur pensato. Questo avvenne p. e. anche nei processi di Bormio del 1674 e ’76, esistenti nella Comunale di Trento, dove, ad onta che sia chiarissimo, non essersi commesso dalle accusate omicidio di sorta, il corpus delicti venne ritenuto sulla nuda confessione delle processate, ed esse furono giustiziate.
  4. Secondo quanto si legge nel Tartarotti I. X. 2 la “ Instructio „ si sarebbe pubblicata ad uso degli inquisitori d’Italia. Nel testo che io ne conosco — in appendice alla “Cautio criminalis „ ed. di Augusta, 1731 — non trovo analoga indicazione, e del rimanente vorrei dire, che mi parrebbe strano se la cosa fosse come asserisce l’egregio critico roveretano. Perché se in Italia ne’ processi contro le streghe si commettevano delle irregolarità, altrove si andava certo non meno male.