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e migliaia di vittime, i processi si seguivano senza tregua, i tormenti ed i supplizî non avevano numero.1 Or come è possibile spiegare tanta jattura?

Le cagioni di questo tremendo fatto sono diverse e di varia natura: io ricorderò quelle che credo le principali. — I volghi, oppressi dalla miseria e vivendo nella più crassa ignoranza, erano fatti ciechi dalla superstizione ed esaltati dal fanatismo mistico, dalla quale e dal quale non andavano esenti neppur le classi agiate e colte. Poiché tra queste ne avevano gettato il malo seme in ispecie i demonologhi, secondo i quali tutto l’universo doveva essere popolato da malefici e da demoni. E pare quasi impossibile a spiegarsi, come si sia potuto scrivere tanto sulla magia, sulle streghe, sul “ diavolo „ e nell’evo medio intorno al tempo del quale parlo, quanto se ne è scritto.2 Qualunque cosa si togliesse dall’ordinario doveva essere opera dello spirito delle tenebre e dei suoi adepti: Dio e la natura nulla più fanno, dice il p. Spee, tutto le streghe!3 — In questo stato delle menti era passato nella convinzione generale, che il distruggere col ferro e col fuoco questi nemici del genere umano fosse non solo un diritto ed un’opera meritoria, ma un dovere. L’istinto poi di imitazione e di emulazione, che ha tanta parte nelle azioni degli uomini singoli e delle loro associazioni, faceva si che tutti si rincorressero e procurassero di raggiungere e di superare quanto vedevano operarsi dagli altri. A tutto ciò aggiungeva stimoli lo spavento, perchè dove oggi una certa benevolenza fa dubitare parecchi, o molti, anche della colpa di veri delinquenti, allora, vedendo che di cento inquisiti novantanove almeno si confessavano rei — per virtù dei tormenti — di orribili delitti, la società si credeva in preda ad una fitta di malfattori, che era

  1. Spee, o. c. Dub. 15.
  2. Non citerò trattati di demonologia perché hanno solo una indiretta relazione col mio soggetto. — Noterò invece, che tale era la esaltazione delle menti circa al “ diavolo, „ che si sostenne ne sieno stati cacciati da una ossessa 12.652. (Soldan e Heppe, o.c. I, 494). Questo ricorda alquanto ciò che si legge nella autobiografia di B. Cellini, (Ed. Lo Monnier. 1852, pag. 137).
  3. O. c. Dub. 51.