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DI PLINIO A TRAJANO. 69

e la libertà, non il desiderio mai nè la capacità di esercitarle, mancovvi. E so, che a generosi e gentili animi troppo è grande gastigo la coscienza dei commessi falli, senza che vi si aggiunga l’insopportabile peso della vergogna. Passati sono i più infelici tempi, in cui rimordendo io in senato de’ suoi infami vizj la plebe e la più vile feccia di Roma, sarei, senza volerlo, venuto a rimordere i primi fra i senatori. Cancellati sono dai fasti nostri, e dalla memoria nostra per anco, quegli illustri ribaldi, che con empie adulazioni, con tradimenti veleni concussioni e delitti in somma orribili, d’ogni genere ed infiniti, aveano della patrizia gente contaminato a segno la fama e maestà, che la più scellerata, la più disprezzabile, la più abborrita in Roma non v’avea. Erano quegli, ed esser tali doveano,