accora, se narrare mi è forza, quale sia stata la felicità dei tempi nostri finora! Pubblica, non ve n’è stata mai niuna, se non se nei brevissimi intervalli, o momenti, in cui si videro dall’usurpato soglio precipitare quei mostri, che fatto aveano fede essere in noi maggiore di gran lunga l’indegna sofferenza e viltà, che non in essi la crudeltà efferata. Nerone, Cajo, Ottone, Vitellio, Domiziano; trucidati tutti, vittime dei loro delitti e del tardo furore di pochi cadendo, faceano col morir loro conoscere e gustare ai presenti Romani un’ombra vana di passeggera felicità: ma tosto in lagrime di sangue dal barbaro lor successore scontar si facea la stolta gioja di Roma. Privata felicità, (apparente, e non vera) in questi orribili tempi la goderono soltanto quei pochi infami, che delle