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Innanzi al carro tre vanno ad un paro
     Varij d’aspetto, d’habito, e d’honore.
     Quel di mezzo è ’l più degno, e ’l più preclaro,
     Più bello, e più disposto, et è il Vigore.
     L’ illustre viso suo nitido, e chiaro
     Fa fede del robusto suo valore,
     E dimostra ne gli atti, e ne l’aspetto,
     D’essere un’ huom temprato, e circospetto.

Da man destra al Vigor segue un’ huom fosco,
     Che mostra haver’ in lui poca ragione.
     La chioma ha rabbuffata, e l’occhio losco,
     E porta in vece d’arme un gran bastone.
     E quanto stender puote il morto bosco,
     Fa star discosto tutte le persone.
     Non usa di ferir con fromba, ò dardo,
     Che non gli serve di lontan lo sguardo.

Questo è il Furor, pericoloso à fatto,
     E ciascun fugge di conversar seco,
     Però, ch’ egli và in colera in un tratto,
     E gira in cerchio quel baston da cieco.
     Ferisce sempre mai da presso, e ratto,
     Ma non tardi, ò lontan, che l’occhio ha bieco.
     E se pure à ferir discosto ardisce,
     Trova sempre fra via chi l’impedisce.

L’Ira và sempre dietro à questo insano,
     Che ’l viso ha magro, macilente, e brutto.
     Il capo ha secco, picciolo, e mal sano,
     Che spesso poco fumo empir suol tutto.
     Di serpi ha un mazzo ne la destra mano,
     E quando ha pien di fumo il capo asciutto
     Con quei punge il Furor, seco s’adira,
     E quel col suo baston si ruota, e gira.

Da man manca al Vigor non molto appresso
     Segue il Timore, e sta sempre in paura.
     Và sbigottito, timido, e dimesso,
     E intento mira, e pon per tutto cura.
     Và muto, e non si fida di se stesso,
     Vuol tal volta parlar, ne s’assicura.
     Se parla al fin, col dir basso, et humile,
     Mostra l’animo suo meschino, e vile.

Non ardisce il Furor guardar nel viso,
     E gli par sempre haver quel legno adosso,
     E teme, ch’ei nol coglia à l’improviso,
     Da qualche humore irragionevol mosso.
     Però si sta con l’occhio in su l’aviso,
     Per fuggir via prima che sia percosso.
     Ne crede il vil d’ogni fortezza ignudo,
     Che ’l Vigor sia bastante à fargli scudo.

Il Vigor, che fra lor nel mezzo è posto,
     Che va sì poderoso, e tanto altero,
     Non può far, che ’l Timor non stia discosto,
     Ne assicurargli ’l suo sì vil pensiero.
     Se’n va il Vigore in modo ben disposto,
     Che non tien conto del Furor sì fiero:
     Pur se ben và con sì sicuro petto,
     Gli sta lontano anch’ei per buon rispetto.

Segue da poi su ’l carro ornato, e bello
     Bacco, con viso amabile, e sereno.
     Indi ne vien su ’l picciolo asinello
     Il vecchio, e non già mai sobrio Sileno,
     Che di fumo di vin colmo, ha il cervello,
     E di cibo, e di vino il ventre ha pieno,
     Et ebro, un paralitico rassembra,
     Così tremano à lui l’antiche membra.

D’ intorno à lui varij fanciulli havea,
     Quel tenea in man de l’asinello il laccio,
     Quell’ altro ne la groppa il percotea,
     Posava ei sopra due questo, e quel braccio,
     E con plauso d’ogn’un spesso bevea,
     E si godea quel fanciullesco impaccio:
     E ’l vecchio, e quei fanciulli allegri, e grati,
     Di pampini, e di frondi erano ornati.

Mentre và Bacco al bel monte Citero
     Con sì bene ordinata compagnia,
     Il popolo Thebano, e tutto il Clero
     Per incontrarlo à quel monte s’invia.
     Hor mentre questi, e quegli il lor sentiero
     Drizzano à un segno per diversa via,
     Penteo volgendo in quella turba i lumi,
     Biasmò quei novi lor riti, e costumi.