Disse Tiresia, al cui divino ingegno
Il popol tutto già si riportava,
Che si mostrasse un manifesto segno
Di gaudio al Teban Dio, che ritornava,
E ch’era la ruina di quel regno,
Se con divoto cor non s’adorava,
C’honorar si dovea per divin Nume
E celebrar l’ignoto suo costume.
Fù per decreto publico ordinato,
Che con gran pompa incontro à lui s’andasse
Fin’al monte Citero, ove adunato
Il popol, quella festa celebrasse.
E che secondo il suo grado, e ’l suo stato
Ciascun più, che potesse, s’adornasse.
Così fu dal consiglio stabilito,
E da chi n’hebbe il carico, esseguito.
De la più ricca veste, e nobil velo
Orna il corpo ogni donna, orna la testa,
E nobili, e plebei con santo zelo
Corron, ciascun con la più degna vesta.
E di pampini ornato in mano un telo
Tengon, secondo il rito de la festa,
E rallegrano il cielo, e gli Elementi
Con varij canti, e musici istrumenti.
Sparsi, et incoronati hanno i capelli
Le donne, et hanno in quella festa à porsi
Non solamente gli habiti più belli,
Ma spoglie di leon, di lupi, e d’orsi.
Cinte han le spade anchor sopra le pelli,
Tal, che v’eran molti huomini concorsi,
Non per la festa sol, ma per le donne
Per vagheggiarle in quelle nove gonne.
Mostra ogn’un quanto cerchi, e quanto brame
Di venerar lo Dio del lor bel regno,
Quel batte un ferro in un vaso di rame,
Quel suona un corno, un timpano, od un legno.
Così per dar ricetto à novo essame
D’api, con varij suoni si fa segno,
Quanto à gli agricultor contento apporti
Dar loro albergo, et esca ne’ lor horti.
Bacco lontan da lor ben venti miglia
S’è d’oro, e d’ostro alteramente ornato,
E con pomposa, e nobile famiglia
Di pampini, e nove uve incoronato,
Vien sopra un carro bello à maraviglia
Da quattro tigri horribili tirato,
Che ’l morso leccan lor nemico, e duro
Bagnato d’un buon vin soave, e puro.
Havea già dato Apollo un’hora al giorno,
E stava à rimirar vago, et intento
Quel nobil carro riccamente adorno
Di fino, e ben contesto oro, et argento,
Sopra una ricca porpora, ch’intorno
Faceva al carro un ricco adornamento:
Et ei col raggio suo, che ’l percotea,
Molto più bello, e lucido il rendea.
Quando si mosse il gran carro eminente
Di pampini, e di frondi ornato, e bello,
Distinto essendo ogni ornato talmente,
Che questo non togliea la vista à quello,
Sopra il suo capo egual si stà pendente
D’oro, e di gemme à piombo un gran crivello,
Da spessi buchi, e piccioli forato,
Non senza gran misterio à lui dicato.
Per voler gire al seggio, ov’egli è assiso,
Per instabili gradi vi si sale.
Vergine, e bello, e gratioso ha il viso,
E la fronte benigna, e liberale.
Ha quasi sempre in boccha un dolce riso,
E veste una lorica trionfale
Di capi adorna di diverse fere,
Di pardi, di leoni, e di pantere.
Innanzi, e dopo il carro, ove ei sedea,
Venia diversa, et ordinata gente,
La più divota, e ch’osservato havea
Dapoi, c’hebbe occupato l’Oriente
Quel, che di giorno in giorno egli facea,
Con più sincera, e ben disposta mente,
Plebe assai, pochi illustri huomini, e donne,
Varij di lingue, e d’effigie, e di gonne.