Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/92

Havuto havea Giunon spesso sospetto,
     Che ’l marito non fosse accompagnato,
     E mentre già per ritrovarlo in letto
     Com’egli suol, con qualche Ninfa à lato:
     Costei per obviar per buon rispetto,
     Che qualche error poi non ne fosse nato,
     Intertenea la Dea col suo bel dire
     Tanto, c’havesser tempo di fuggire.

Giunon de le parole al fin accorta,
     Che tante volte intertenuta l’hanno,
     Disse, La lingua tua sì dolce, e scorta,
     Più non m’ingannerà, s’ io non m’ inganno,
     Io farò si la sua favella morta,
     Che per l’ innanzi io non havrò più danno,
     Io farò, che potrà parlar sì poco,
     Che non potrà mai più farmi tal gioco.

E ben diè tosto effetto à i desir sui
     Havendo in lei per sempre stabilito,
     Che mormorasse al ragionar d’altrui,
     E ’l fin sol del parlar fosse sentito.
     Hor vede à pena il viso di colui
     Sì bel, che ’l brama haver per suo marito,
     E ’l vorria ben con le sue dolci note
     Persuader, ma cominciar non puote.

Ella, ch’al dir d’altrui solo risponde,
     Stà muta, e non ardisce di mostrarsi,
     Anzi teme, e nel bosco si nasconde,
     E per un pian vedendol diportarsi,
     Fura il bel viso suo fra fronde, e fronde,
     Con gli occhi, e cerca ogn’hor più d’accostarsi,
     Il mira, e gli occhi in lui sì fiso intende,
     Che col suo foco Amore il cor le accende,

Come à una face ben secca, che senta
     Il foco ardere à lei poco discosto,
     S’alcun quel legno à le fiamme appresenta
     À ricever il foco atto, e disposto,
     Pria che giunga talhor, ratto s’aventa
     Una fiamma, e l’accende, e l’arde tosto,
     Tal’ ella al foco suo volle accostarse,
     E innanzi al giunger suo s’accese, et arse.

Mentre l’accesa Ninfa il segue, e ’l vede,
     E questa, e quei tien muta la favella,
     Urtando à caso in certe frasche il piede
     Fece alquanto romor la Ninfa bella.
     Come il romore à lui l’orecchia fiede
     S’adombra, e mira in questa parte, e in quella.
     E quei forse qualch’un, disse ei primiero,
     Qualch’un, dapoi diss’ella, e disse il vero.

Diè quel parlare à lui gran meraviglia,
     Che scorger non potè d’onde s’uscio,
     E gira intorno pur l’avide ciglia,
     Indi in questo parlar le labbra aprio,
     Non ti vegg’io, ella il parlar ripiglia,
     E chiaro udir gli fece, ti vegg’io,
     Narciso in quella parte gli occhi porge,
     Ma teme ella, e s’asconde, e non la scorge.

Stupisce quei de le parole ascose,
     E guarda intorno cinque volte, e sei,
     Vien quà, poi disse, ella, vien quà rispose.
     E chiamò quel, c’havea chiamata lei.
     Di novo intorno à riguardar si pose,
     E disse, io t’odo, e non so chi tu sei,
     So chi tu sei (diss’ella) e ben sapea,
     Che sol di lui, e di null’altro ardea.

Diss’ei bramoso di sapere il resto,
     Poi, che tu sai chi son, godianci insieme.
     Ó come volentier rispose à questo,
     Che sopra ogni altro affar questo le preme,
     Dice, godianci insieme, et esce presto
     Del bosco, e si discopre, e più non teme,
     Che quel parlar dà manifesto aviso,
     Ch’ivi potrà goder del suo Narciso.

Mentre al collo sperato ella distende,
     Per volerlo abbraciar, l’avare braccia,
     Da quegli abbracciamenti ei si difende,
     Quando fugge da lei, quando la scaccia,
     Non t’amo (ei dice) ella il parlar riprende,
     E dice t’amo, e poi forz’è, che taccia,
     Ne amar ti voglio (ei segue) e la rifiuta,
     Dice ella, amar ti voglio, e poi stà muta.