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Colui, che più vicin segue la traccia,
     Siasi sorte, ò giudicio, ò il destrier buono,
     Per far sapere à gli altri ov’è la caccia,
     Dà fiato al corno, e fa sentire il suono.
     Quei, che non sanno ove voltar la faccia
     Per la distantia, che infiniti sono,
     Che ’l vario corso gli ha sparsi d’ intorno,
     Si drizzan tutti ove gl’ invita il corno.

Già il cervo preso havea tanto vantaggio,
     Che non era lontan forse à salvarsi,
     Ma venne l’ infelice in quel viaggio
     In due sue gentil’huomini à incontrarsi,
     C’havean del mezo dì fuggito il raggio
     In quella parte, ove hora eran comparsi,
     Che nel cacciar di prima eran perduti
     Da gli altri, al maggior caldo ivi venuti.

Hor mentre à riposarsi erano à l’ombra,
     Su’l mezzo giorno i lassi cavalieri,
     Quel gran rumor l’orecchie loro ingombra
     Di can, di cacciatori, e di destrieri,
     Subito l’uno, e l’altro il bosco sgombra
     Co i freschi veltri à lassa atti, e leggieri
     Che si sforzan sentendo gli altri cani
     A più poter d’uscir lor de le mani.

Quei veltri con gli orecchi alti, et intenti
     Dan più scosse hor da questo, hor da quel canto
     E fan gemendo certi lor lamenti,
     Con certo flebil suon, che mostran quanto
     Han voglia d’ ire à insanguinare i denti
     Ne l’animal, ch’anchora è lungi alquanto,
     Ma quei cacciator pratichi, et accorti,
     Per far lassa miglior gli tengon forti.

Già mai nel volto à l’animal cacciato,
     Quando incontro ti vien non dei far lassa,
     Per ch’egli sguinza lo scontro da un lato,
     E scorrer lascia il cane, e innanzi passa.
     Il veltro dal grand’ impeto sforzato
     Non può tenersi, e trasportar si lassa,
     E la fugace belva acquista molto
     Prima che possa il can voltarle il volto.

Hor’ ecco il cervo affaticato, e lasso
     Con debil corso, e con la lingua fuori,
     Che giunge al tristo, e sfortunato passo,
     Dove l’attendon quei due cacciatori.
     Egli, che gli conosce affrena il passo,
     E ferma gli occhi in quei suoi servidori,
     E detto havrebbe (s’havesse potuto)
     Il Signor vostro io son, datemi aiuto.

Ma le parole mancano à la mente,
     E non può esprimer fuor quel che vorria,
     In vece di parlar gemer si sente
     Pure ai suoi servi il suo gemito invia,
     Quei, ch’el veggon fermato, immantinente
     Gli van di dietro, e i can lascian gir via,
     Il cervo, che lasciarsi i veltri vede,
     Affretta più che può, lo stanco piede.

E per quei luoghi, ov’ egli havea seguito
     Più volte fiere assai, ò vien seguito esso:
     Ma già si vede il corso haver fornito
     Ch’è stanco, e i freschi veltri ha troppo appresso.
     Ecco nel fianco l’ha Tigri ferito,
     Licisca in una orecchia il dente ha messo
     E l’han già inginocchiato al suo dispetto,
     Stracciando à più poter l’ignoto petto.

Quivi in tanto arrivar su i lor cortaldi
     Quei, che lasciaro i can poco lontano,
     E paion ben volonterosi, e caldi,
     Che ’l cervo ucciso sia per la lor mano,
     Giunti no’l toccan già, ma stando saldi
     Tutti cercan con gli occhi il monte, e ’l piano,
     E questi, e quegli, Atteon chiama, e grida,
     Accio ch’Atteon sia, che il cervo uccida.

Il cervo al nome suo leva la testa,
     E par, che dica; Io son, dammi soccorso:
     Ma l’uno, e l’altro can tanto il molesta
     Ch’à lor si volge, e placar cerca il morso.
     Questo, e quel cacciator gridar non resta,
     E far segno al Signor, ch’ affretti il corso,
     Al lor Signor, che già credon scoprire
     Fra quei, che di lontan veggon venire.