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LIBRO TERZO
Giove lasciato havea, prendendo il vero,
E del novo amor suo quel frutto colto,
Che poteva appagare il suo pensiero,
E da quel nodo in breve tempo sciolto
S’era tornato al suo celeste impero.
Tornar non volle Europa al patrio seno,
Conoscendo alterato havere il seno.
Il mesto padre suo non la trovando
Per ritrovarla un stran partito piglia,
Dà con pena del capo à ì figli bando
Dal suo dominio, e da la sua famiglia,
Se non vanno di lei tanto cercando,
Ch’à lui ritornin la perduta figlia,
E fu sì caldo in questo suo desio,
Che si mostrò non men crudel, che pio.
Cadmo, un de i figli suoi, che vuol fuggire
Quell’ingiusti del padre empi decreti,
Cercò per tutto, ove si potea gire,
Ne potè mai di lei gli occhi haver lieti.
Ma chi gl’ inganni mai potria scoprire
Del gran motor del cielo, e de pianeti?
Si volse al fine in sì crudele essiglio
À l’oracol d’Apollo per consiglio.
Poi ch’ al bel regno mio non vuol, ch’ io torni
La legge del mio padre iniqua, e dura,
(Cominciò Cadmo) e ’l resto de miei giorni
Ho da fondare in patria più sicura,
Dimmi, Apollo, ove è ben, ch’io mi soggiorni,
Dov’habbia à por le mie novelle mura
Rispondi, e fa, ch’à tal patria io m’appigli,
Ch’à me sia fausta, à miei nepoti, e à figli.
Un ben maturo, e candido vitello
Ne i più deserti campi incontrerai,
(Rispose Febo), à meraviglia bello,
Che non ha il giogo anchor sentito mai,
Prendi seco il camin, segui , fin ch’ello
Si ferma, e quivi il tuo seggio porrai,
Chiama Beotia poi la tua contrada
Dal bue, ch’hor hor ti mostrerà la strada.