Come una gemma il chiaro, e picciol corno
Sì bel risplende, che par fatto à mano:
Move con dignità l’occhio d’intorno,
E mostra un volto amabile, et humano.
Dolce rimira quel bel viso adorno,
Poi si move ver lei quieto, e piano.
Paurosa ella l’aspetta un poco, e fugge,
E ’l toro per dolor sospira, e mugge.
Ella del suo muggir si maraviglia,
Che vede, che si dole, e che la guarda,
E che tien ferme in lei l’ignote ciglia,
E che per non noiarla il piè ritarda;
Dal prato per provar de l’herba piglia,
E verso lui và paurosa, e tarda;
Cresce col destro piè, stende la mano,
E poi sì ferma alquanto à lui lontano.
Il collo, il capo, e ’l muso ei stende à posta,
E mostra di quell’herba haver gran voglia,
Pian pian poi con bel modo à lei s’accosta,
Perche non tema la mentita spoglia.
Ella stende la mano, e ’l piè discosta,
E come ei stà per abboccar la foglia,
Cader la lascia, e fugge, e si ritira,
E ’l miser toro anchor mugghia, e sospira.
Il toro per mostrar ch’accetto, e grato
Gli fù quel don de l’herba, ch’ella offerse,
Senza punto toccar l’herba del prato,
Quella mangiò, ch’ella lasciò caderse.
Vedendolo ella così ben creato,
A lui con esca, nova si converse,
E senza haverne più tanta paura,
L’aspettò più costante, e più sicura.
Il toro abbocca l’herba con destrezza,
Poi le lecca la man tutto modesto,
E tanto il move quell’alma bellezza,
Ch’à pena può più differire il resto.
Ella fa d’una cinta una cavezza,
Che vuol veder se l’obedisce in questa:
Legare il toro allegro il corno lassa,
E poi la segue come un cane à lassa.
Ella senza timor, senza sospetto,
Per tutto il vuol menar, per tutto il tocca:
Gli palpa leggiermente il collo, e ’l petto,
E sicura la man gli mette in bocca.
L’amante con piacer, con gran diletto
Segue la donna baldanzosa, e sciocca,
Laqual più volte le mentite corna
Di vaghi fiori, e di ghirlande adorna.
Sù l’herba al fin l’astuto bue si getta,
E col bugiardo sen la terra cova.
Allhor l’ardita, e vaga giovinetta
Di veder sempre qualche cosa nova,
Sù ’l fraudolente suo dorso s’assetta,
Che vuol far del giuvenco un’altra prova,
Prova vuol far la semplicetta, e stolta,
Se vuol come un destrier portarla in volta.
Pian piano il bue si leva, e si diporta,
E move da principio il passo à pena,
E la donzella in su le spalle porta,
Poi drizza il falso piè verso l’arena.
La semplice fanciulla, e male accorta
Non credendo ad un Dio premer la schena,
Lieta lasciò portarsi ove à lui piacque,
Et egli à poco à poco entrò ne l’acque.
L’ardita damigella non si crede,
Che ’l toro troppo innanzi entri ne l’onda,
Ma come il lito poi scostarsi vede,
E trarsi in dietro l’arenosa sponda,
Non potendo à l’asciutto porre il piede,
Perche il mar non l’inghiotta, e non l’asconda,
Sù ’l dorso una man tien, con l’altra afferra
Un corno, e l’occhio tien volto à la terra.
Bagna di pianto la donzella il volto,
Che la terra ogn’hor più s’asconde, e abbassa.
Dritto à Favonio il toro il nuoto volto,
Cipro, e Rodi à man destra vede, e passa.
Veder dal lato manco à l’occhio è tolto
Le gran bocche del Nil, ch’à dietro lassa.
Ella non crede più poter campare,
Ch’altro veder non può, che cielo, e mare.