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Cosi di valor cede il grande Atreo
     Al figlio Agamennon più saggio, e forte.
     E cosi al figlio Theseo il padre Egeo
     Di senno cede, e d’ animo, e di sorte.
     E cosi cede anchora il gran Peleo
     À quel, ch’ al grande Hettor diede la morte.
     Cosi di più lodate, e rare prove
     Fu del padre Saturno il figlio Giove.

Giove è rettor nel regno alto, e giocondo,
     Felice Augusto il mar regge, e la terra.
     Tal c’ ha il nostro rettor diviso il mondo,
     Con lo Dio, che ’l divin folgore atterra.
     Deh poi ch’ egli quà giù regge tal pondo
     Senza gl’ infami vitij, e senza guerra,
     Fate, che tardo, Dei, venga quel giorno,
     Che dee donarlo al vostro alto soggiorno.

Voi Dei, che già da l’ Asiana parte
     Veniste à noi co’l gran Duce Troiano;
     Giove Capitolin, tu fero Marte,
     Padre, et auttor del gran nome Romano;
     E voi Romani Dei, cui l’ arme, e l’ arte
     Diede, e ’l cor pio si grande imperio in mano;
     Fate, ch’ Augusto, e ogni altro inclito Duce
     Goda più, che si può, fra noi la luce.

Tu, Geneveva pia, tu pio Marcello,
     Veri Gallici Divi, e tu Dionigi
     Fate, che Carlo, Imperador novello
     Del vostro felicissimo Parigi,
     Che con un spirto si svegliato, e bello
     De’ padri invitti suoi segue i vestigi,
     Tanta età, tanto honor, tanto ben goda,
     C’habbia non men d’ Augusto imperio, e loda.

Carlo, in si verde età dal cielo eletto
     Imperador de le Lutetie squadre,
     Lontan m’ inchino al tuo real cospetto,
     Et al valor de la tua santa madre,
     Per darti co’ l maggior, ch’ io posso, affetto
     Quest’ opra, hereditaria di tuo padre.
     Per lui le diè principio, e ’l più n’ ho scritto
     Sotto il favor del suo gran nome invitto.

Hor, poi che ’l Re del ciel fra i più lucenti
     Spirti beati lui beato serra,
     E vuol, perche ’l suo don più d’ un contenti,
     Che di lui goda il ciel, di te la terra,
     Con tutti i modi humili, e riverenti,
     Quanto, ch’ io posso più, chinato à terra
     Io dò quest’ opra à te presente, e vivo,
     Che dar non posso à lui lontano, e Divo.

Lo stesso animo à te devoto, e fido
     Dono, e consacro, e le scritture, e i carmi.
     Poi quando alzando andrà la Fama il grido,
     E loderà di te le prove, e l’ armi,
     S’havrò quest’ alma anchor nel carnal nido,
     À cantar l’ opre tue tutto vò darmi.
     Dove al mondo, et à te spero far noto
     Quanto al tuo sangue io sia fido, e devoto.

E se ben l’ alto affar d’ un tanto regno
     Tien la tua mente in altro hoggi occupata,
     Dalle tal volta un guardo, e qualche segno
     Mostrami in cortesia, che ti sia grata.
     Di questo sol favor fa colui degno,
     Che già tant’ anni t’ ha l’ alma dicata;
     Che tutto vuol far tuo ciò, ch’ opra, e scrive,
     E per te s’affatica, e per te vive.

Godi Balban de la tua interna luce,
     Che scorge l’ avenir si di lontano.
     Godi Mattheo del frutto, che produce
     La tua si liberal natura, e mano.
     Questa fatica mia, c’ hor mando in luce,
     Nasce dal tuo giudicio intero, e sano:
     Che prevedendo, e provedendo il tutto,
     Questo (qual’ ei si sia) n’ è nato frutto.