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In Ethiopia alcuni laghi stanno,
     Che s’à caso alcun bee del lor liquore,
     Ó correre in furor subito il fanno,
     Ó gli dan grave un sonno per molt’hore.
     Quei, ch’à trarsi la sete in Grecia vanno
     Per lor destin dentro al Clitorio humore,
     (Qual si sia la cagion, che questo apporte)
     Han sempre in odio il vin, come la morte.

Chi di quel fonte bee, gode de l’acque,
     Et ha più, che si puote, in odio il vino.
     Racconta alcun, che questa cosa nacque
     Dal gran Melampo medico, e indovino.
     Che dapoi, ch’à Giunon l’orgoglio spiacque
     Di quelle, ch’ al suo Nume alto, e divino
     Di pareggiarsi osar, di Preto figlie,
     Fè si, che nacquer queste maraviglie.

Solean queste fanciulle esser sovente
     Ebre, per haver troppo il vino in pregio,
     Poi con dir glorioso, et imprudente
     Di Giuno haver dicean volto più egregio.
     Lor di furor la Dea sparse la mente,
     E ’l vin lor pose in odio, et in dispregio;
     Ne sol non disser poi d’esser si belle,
     Ma per certo tenean d’esser vitelle.

Melampo, che non vuol, che sempre annoi
     Le figliuole del Re furia si acerba,
     Pon tutti in opra i pij rimedij suoi,
     E co’l canto il furor cura, e con l’herba.
     Quella purgation gittò dapoi
     (Ond’è, ch’ anchora al vin l’odio riserba)
     In quella fonte, e ogn’un, che poi ne bebbe,
     In odio, come il morbo, il vin sempre hebbe.

Contrario à questo in Macedonia un fiume
     Corre, detto Lincesto, e in modo offende
     Che fa non men del vino ebro l’acume
     De l’ intelletto à ogn’un, che berne intende.
     Feneo, lago d’Arcadia, mentre il lume
     Maggior del cielo à quei di sotto splende,
     Con l’onda inferma ogn’un, che ber ne prova;
     À chi ne bee di giorno, è sano, e giova.

Son due fiumi in Calabria, che fan bionde
     Le chiome. è ’l nome lor Sibari, e Crato.
     Chi vi si lava il capo, ha da quell’onde
     Quel don, tanto à le donne utile, e grato.
     E chi nel fonte Sulmace s’asconde,
     D’huom, non diventa un corpo effeminato?
     Non cangia anchor il cor forte, e virile?
     Non diventa codardo, abbietto, e vile?

E cosi avien, che ’l fonte, il fiume, e ’l lago
     Diverse forze in varij tempi acquista,
     Et ha il proprio valore errante, e vago.
     Già quell’acqua beveasi, et hoggi è trista,
     Con la virtute anchor cangia l’imago,
     E trapassa d’infetta in lieta vista.
     Hor dolce, et hor salmastra, hor bruna, hor fella,
     Hora schiva al nostr’occhio, hor grata, e bella.

L’Ortigia isola in mare altre fiate
     Mutava instabil luogo ogni momento.
     Le Simplegade anchora eran mandate
     Per l’onde à galla, ove voleva il vento,
     Et hor, che stabilite, e ben fermate
     Han dal fondo del mar buon fondamento,
     Al mare, e al vento immobili si stanno,
     E tempenstinle à gara elle non vanno.

Etna, che tanto foco anchor mantiene,
     Non crediate, che sia per arder sempre,
     Ne men sempre arse, e co’l tempo conviene,
     Ch’altra propietà quel monte tempre.
     Ciò, che sotto la Luna si contiene,
     Convien, che per rifarsi si distempre.
     Qual si sia la cagion, che ’l foco accenda,
     Convien, che venga à fine, e più non splenda.

Se vogliam dir, che ’l corpo de la terra
     È tutto quanto insieme uno animale,
     Che vive, e che lo spirto, c’ ha sotterra,
     Convien, che spiri, e in varie parti essale:
     Vi dico, che ’l suo moto hor apre, hor serra
     Questo, e quel passo al suo spirto vitale.
     E poi che ’l suo spirar suol cangiar loco,
     Convien, che perda un giorno Etna il suo foco.