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Ha quattro corpi genitali il mondo,
     Che d’ogni cosa son principio, e seme.
     Due senza gravità, due, c’ hanno il pondo,
     E ’l globo inferior formano insieme.
     Tira la terra, e l’acqua il peso al fondo;
     Volan gli altri à le parti alte, e supreme.
     Sopra la terra, e l’acqua ha l’aere il loco.
     Più puro sopra l’aere ascende il foco.

Di questi, se ben son tra lor disgiunti,
     Tutti i corpi non semplici si fanno.
     E come del lor corso al fin son giunti,
     Ne gli stessi elementi si disfanno.
     Tutti nel lor finir vengon rassunti
     Da quei principi, onde l’origine hanno.
     Tolto il secco à la terra, il giel si sface,
     E in acqua il corpo suo risolver face.

Levato à l’acqua anchora il freddo, e ’l peso,
     L’humido essala in aere, e in aere ascende.
     Poi più puro, e purgato al cielo asceso
     In foco lucidissimo s’accende.
     E ’l foco anchor suol condensarsi, e preso
     Più grave corpo, in aere in giù discende.
     Tolto à l’aere il calor, l’humor si fonde,
     E d’aere, qual fu pria, si sface in onde.

Cosi l’acqua talhor s’unisce, e serra:
     Che quando avien, che l’humido n’essale,
     Il freddo la congela, e la fa terra,
     Come si può veder nel far del sale.
     Ciò, ch’è qua giù, nova figura afferra
     Per ordine, et instinto naturale.
     Ciò, che nel mondo inferior si trova,
     Non si perde giamai, ma si rinova.

Nascer si dice quel, che d’un soggetto
     Si comincia à formar quel, che non era.
     Morir si dice quel, che vien costretto
     À mancar de la sua forma primiera.
     Hor poi, che và di questo in quello aspetto,
     Non si può dir, ch’alcuna cosa pera.
     In somma in questo mondo errante, e vago
     Cosa non può durar sotto una imago.

E quella età de l’or tanto felice,
     Che fu per l’huom si semplice, e si pura,
     Non passò à questo secolo infelice,
     Che dal ferro ritien nome, e natura.
     De le cose la Dea rinovatrice,
     Dove fu terra già stabile, e dura,
     Fe molle; e instabil mar, dove fu l’onda,
     Terra, c’hor d’habitanti, e ville abonda.

Io cento miglia già lontan dal lito
     Con gli occhi, c’ hanno seggio in questa fronte,
     D’ostreche, e conche un numero infinito
     Vivi, et altre opre assai del salso fonte.
     E da persone degne anche ho sentito
     Essersi ritrovata in cima al monte
     Un’anchora antichissima, e fu segno,
     Che ’l mar v’hebbe altra volta imperio, e regno.

Quanti campi ho vist’ io fertili, e allegri
     In infelici stagni trasformare.
     E quanti stagni anchor languidi, et egri
     Ho veduti da poi fertili arare.
     E i diluvij tal volta i monti integri
     Non han portati, e posti in mezzo al mare?
     Qui v’era terra, hor v’è una fonte nova,
     Altrove era un gran fiume, hor non si trova.

In mille, e mille luoghi s’è veduto
     Allhor, che ’l terremoto apre la terra,
     Ch’un fiume in qualche parte è fuor venuto,
     Un’ altro ha preso il suo camin sotterra.
     Il fiume Lico in Frigia par perduto,
     Dove una gran voragine il sotterra.
     Per altra bocca poi lo stesso fiume
     Esce, e fa l’onde sue vedere al lume.

Et Erasino, che in Arcadia sorge,
     Anch’ei sotterra à gli huomini s’asconde.
     Poscia à gli armenti d’Argo il sorso porge,
     Là dove il giorno aperto have le sponde.
     E in Misia, onde solea scorger, non scorge
     Per lo stesso canal Caico l’onde.
     Ne la fertil Sicilia l’Amaseno
     Hor è secco del tutto, hor l’alvo ha pieno.