Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/528

E mentre l’anno un’ anno in giro è volto,
     Non imita egli anchor la nostra etade?
     Non cangia anch’egli in quattro guise il volto ?
     Non muta anch’ ei natura, e qualitade?
     Ouando il Sol nel Montone il seggio ha tolto,
     E i prati già verdeggiano, e le biade,
     D’herbe, di fior, di speme, e di trastullo
     Non ne suol ei nutrir, come un fanciullo ?

Ma come al Sole il Cancro apre le porte,
     E che ’l giorno maggior da noi s’acquista,
     E per serbar le spetie d’ogni sorte,
     Ogni herba il seme già forma, e l’arista,
     L’ anno un giovane appar robusto, e forte
     À l’operatione, et à la vista.
     E ’l calor natural tanto l’infiamma,
     Che tutto ne l’oprare è foco, e fiamma.

Come à la Libra poi lo Dio s’aggiunge,
     C’havea prima il Leon tanto infiammato,
     L’anno da tanto foco si disgiunge,
     Et uno aspetto à noi mostra più grato:
     À quella età men desiosa giunge,
     Che fa l’huom più prudente, e temperato;
     À quella età, che più ne l’huom s’apprezza,
     Ch’è fra la gioventute, e la vecchiezza.

Diventa l’anno poi debile, e stanco,
     Il volto crespo, afflitto, e macilente:
     Il capo ha calvo, ò ’l crine ha raro, e bianco;
     Raro, tremante, e rugginoso il dente.
     Trahe con difficultà l’antico fianco;
     Al fin del corpo infermo, e de la mente
     Cade del tutto, e muor: ma ne conforta,
     Che ’l novo tempo un novo anno n’apporta.

E ’l corpo human si volve, e si trasforma
     In mille guise. noi fummo già seme,
     Ne volto d’huom vedeasi in quella forma,
     Ma sol del futuro huom v’era la speme.
     Ma l’alma Dea, ch’ogni composto informa,
     Ne formò molte membra unite insieme;
     E data l’alma al corpo oprò, che salvo
     Finito il tempo uscì del materno alvo.

Piangendo senza senno, e senza forza
     Esce à la luce il pargoletto infante;
     Poi cresce, e in quattro piè d’andar si sforza,
     E come un’ animal si spinge avante.
     Indi il vigore in lui tanto rafforza,
     Che tutto il peso suo portan due piante;
     E va tanto crescendo à poco à poco,
     Che giunge à quella età, ch’ è tutta foco.

La più temprata età di già possiede,
     Che di vigore abonda, e d’ intelletto;
     Per quella inferma età poi move il piede,
     Che guida l’huom verso il funebre letto.
     Tal che chi stà qualche anno, e dopo il vede,
     Non riconosce il trasformato aspetto:
     Perch’ogni età talmente il trasfigura,
     Ch’un tempo, che l’huom stia, no ’l raffigura.

Milon, che diè co’l sol pugno la morte
     À tanti mostri, e fè si rare prove,
     Che pareggiò quel cavalier si forte,
     Ch’Almena partorì del sommo Giove,
     La peggiorata sua lagrima sorte,
     Mentre si debilmente il passo move.
     E mentre per l’età, ch’entro l’agghiaccia,
     Si vede si tremanti haver le braccia.

Colei, c’hebbe già il titol d’esser bella,
     Che ’n due volte da due venne rapita,
     Mentre prende lo specchio, e mira anch’ella
     La guancia crespa, afflitta, e scolorita,
     Un si grave dolor l’ange, e flagella,
     Ch’odia se stessa, e la soverchia vita;
     E stupisce fra se, che per quel volto
     Il mondo fosse sottosopra volto.

Tempo empio, e rio, co i crudi invidi denti
     Ogni cosa quà giù struggi, e risolvi,
     Sotto altra forma al fin tutto appresenti,
     Mentre con gli anni tuoi t’aggiri, e volvi.
     E questi che chiamiam quattro elementi,
     À poco à poco in altra forma volvi.
     Hor del modo, che tien, vò farvi accorti
     Per far, che l’un ne l’altro si trasporti.