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Molti (rispose il cittadin cortese)
     Mostran questa scienza alta, e divina
     In questa nostra terra, e fan palese
     L’ascosa filosofica dottrina.
     Ma quel, che correr fa d’ ogni paese
     Ogn’un, ch’à tal scienza si destina,
     À questo studio è un’ huom, ch’è raro, e solo,
     E non ha par da l’uno à l’altro polo.

In Samo acquistò l’alma, e ’l carnal panno,
     E in varij luoghi il suo sapere accrebbe.
     Ma perche de la patria il rio tiranno
     (Che le fe violenza) in odio egli hebbe;
     Un volontario essiglio per qualch’anno
     (Tanto de la sua patria il mal gl’ increbbe)
     Si prese, e venne ne la terra nostra,
     Dove mostrò il suo ingegno, e anc’hoggi il mostra.

Penetra tanto il suo sublime ingegno,
     L’occhio suo interior, via più c’humano,
     Che vede aperto il sempiterno regno,
     Se ben egli dal ciel vive lontano.
     Intende à pieno ogni pianeta, e segno;
     L’ influsso, e ’l corso lor tocca con mano.
     E cosi bene il ciel mostra, e discrive,
     Che par, che nato ei sia fra l’alme dive.

Tutto quel, che negò l’alma Natura
     Di far vedere à l’huom visibilmente,
     Cerca con ogni studio, et ogni cura
     Veder con l’occhio interno de la mente.
     La sua luce mental lucida, e pura
     Ogni ascosa cagion vede presente;
     E tutto quel, che co ’l suo studio impara,
     Liberamente à ogn’uno apre, e dichiara.

Ei la sostanza, e l’ordine, e l’effetto
     Sà d’ogni cosa, e ’l suo padre natio;
     E poggia tanto il suo puro intelletto,
     Ch’à pien conosce la Natura, e Dio.
     È nulla à lui saper, donde è costretto
     L’aere à mostrarne il tempo hor buon’, hor rio.
     Di qual materia fassi, et in qual foggia
     E la neve, e la grandine, e la pioggia.

De tuoni, e de gli etherei empi tormenti
     Suol la propria cagion parlando aprire,
     E come in aere due contrarij venti
     Fan de le nubi rotte il foco uscire.
     De le stelle, del ciel, de gli elementi
     Ciò, che chieder saprai, ti saprà dire.
     Dirà la forma, la misura, e ’l pondo,
     E la verace origine del mondo.

Ma d’una cosa è ben, ch’ io t’ammonisca
     Pria, ch’ io dimostri à te dove hai d’andare;
     Che per un certo tempo non ardisca
     Di voler dimandar, ne disputare.
     Ne vuol, ch’un domandando lo ’mpedisca,
     Se co’ termini suoi non sa parlare.
     Cosi dicendo gli mostra il camino,
     Ch’al Filosofo il guida alto, e divino.

Giunse Numa à le scuole, e quivi intese
     L’hora, e la legge à gli scolari imposta;
     E qual fu la cagion, che ’l mosse, apprese
     À negare à novitij la risposta.
     Pithagora al suo tempo al seggio ascese;
     E quella lettion, c’havea proposta,
     Voler legger quel dì, fe manifesta.
     E la prima, che Numa udì, fu questa.

Quanto commetta errore ogni mortale
     Innanzi à chi de l’universo ha cura,
     Ch’ impedisce quel corso à l’animale,
     Il qual prescritto gli ha l’alma Natura,
     Mostrarvi intendo; e come è universale
     Del mondo inferior danno, e iattura,
     S’un per far l’animal (non vuol, che cresca)
     Vittima de gli Dei, de gli huomini esca.

Non si debbe à gli Dei vittima offrire,
     Che faccia à la Natura oltraggio, e danno.
     Non dee quel cibo gli huomini nutrire,
     Ch’al misero animal toglie qualche anno.
     Quelle hostie, per placar le divine ire,
     Date à l’altar, che gli arbori vi danno;
     E ciò, che si compone di quel frutto,
     Che la benigna Cerere ha produtto.