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Hor mentre di fuggirsi ei s’apparecchia
     Per obedire al gran figliuol di Giove,
     E vuol lasciar la sua fabrica vecchia
     Per gire à procurar fabriche nove;
     Al publico fiscal viene à l’orecchia,
     Che si cerca fuggir Miscelo altrove.
     L’accusa al tribunal, ribello il chiama,
     E contra il capo suo crudele esclama.

La cosa per se stessa era palese,
     Che trovar le sue robe in su la nave.
     Mostra il fiscale il già imbarcato arnese,
     E fa l’eccesso suo sempre più grave.
     Si danno à l’infelice le difese,
     Ma chi da colpa tal fia, che lo sgrave?
     Indarno ei fu difeso in voce, e in scritto,
     Per esser troppo publico il delitto.

Allhor da certe palle eran di pietra
     Le opinioni de’ giudici ritratte:
     L’une eran l’una rocca oscura, e tetra,
     E l’altre eran più candide, che ’l latte.
     La bianca assolve il reo: la morte impetra
     La nera, e danna l’opre empie, e mal fatte.
     De’ giudici due sassi havea ciascuno
     Per giudicar, l’un bianco, e l’altro bruno.

Come si danno i sassi, e i bianchi, e i negri,
     Che dar la capital sentenza denno,
     Alzando gli occhi il reo languidi, et egri,
     Dice. Ó tu Dio, lo cui valore, e senno,
     E la gran prove à regni alti, et allegri
     Di dodici atti illustri ascender fenno,
     Provedi à me del tuo divin favore,
     Poi che del fallo mio tu sei l’auttore.

Intanto ogn’un, che vuol con l’aura il Sole
     Torre al misero reo, quel sasso appresta,
     Che co’l colore in vece di parole
     La sententia suol dar nera, e funesta.
     L’urna ogn’un di quel sasso empie, che vuole,
     Ch’à l’infelice reo taglin la testa.
     Attende ei quel decreto empio, et ingiusto,
     Che vuol del capo suo privare il busto.

Colui che quivi à questo officio intende,
     Su’l tapeto honorato il vaso volve;
     Et ecco, ch’ogni sasso, che giù scende,
     Di nero in bianco subito si volve.
     S’allegra il reo, che vede, e che comprende
     La candida sententia, che l’assolve.
     E verso Alcide i lumi humile, e fido
     Alza, e ringratia lui con santo grido.

Tosto che viene il vaso in giù rivolto,
     Resta ogni Senator tacito, e muto,
     E con stupor si guardano nel volto,
     Che dal delitto il veggono assoluto.
     Poi che molto tra lor discorso, e molto
     Hebber, da tutti fu chiaro veduto,
     Ch’egli del sogno suo detto havea il vero,
     E ch’ Hercole fe bianco il sasso nero.

Tanto ch’al fin da tutto il parlamento
     Al cavalier licentia si concede,
     Che parta da l’antico alloggiamento,
     E vada à fabricar la nova sede.
     Naviga il mare Ionio egli, e Tarento,
     Che già fondò su’l mar Falanto, vede.
     Passa Sibari poi, co’l Salentino
     Neheto, e ’l campo fertile Thurino.

Queste, e molte altre terre vede, e passa,
     E finalmente à quel lito perviene,
     Dove il nome del fiume Esaro lassa,
     E percuote co’l mar le salse arene.
     Quindi non lunge una marmorea cassa
     L’ossa del gran Crotone asconde, e tiene;
     Dove la città nova ordina, e pone,
     E da quell’ossa lei chiama Crotone.

Cosi questa città, che tanto approvi,
     Hebbe il principio suo con si degna arte.
     E s’altro io sò, che ti diletti, e giovi
     Saper, dì pur, ch’ io te ne farò parte.
     Vorrei saper, (disse ei) dove si trovi
     Colui, che insegna in voce, e in vive carte
     Quei, che l’eterno Dio secreti ascose
     Ne le proprie sostantie de le cose.