Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/514

Le s’addormì di modo l’intelletto,
     Che non mai più dapoi venne à destarse.
     Quel duro sasso, e ’l giel, c’hebbe nel petto,
     (Onde il foco d’amor giamai non l’arse)
     Rendè il suo corpo in ogni parte infetto;
     E per tutte le sue membra si sparse.
     E del sasso il rigor non venne manco,
     Ch’un simulacro fe marmoreo, e bianco.

E per far saggia ogni donna superba,
     La gran città di Salamina anchora
     Nel tempio, che vi fe, la statua serba;
     Dove l’ irata Venere s’honora.
     Si che non esser più cruda, et acerba
     Verso lo Dio, che t’ama, e che t’adora.
     Habbi pietà di chi per te sospira,
     E non voler la Dea movere ad ira.

S’à te dal verno rio mai non sia tolto
     Il frutto, mentre anchor chiuso è nel fiore;
     Quel Dio, ch’à suo piacer prende ogni volto,
     Contento fa del tuo beato amore.
     Poi che l’acceso Dio detto hebbe molto
     Senza far punto à lei pietoso il core,
     Scacciò il volto senile oscuro, e schivo,
     E tolse il vero suo virile, e divo.

Qual, se vincendo il Sol le nubi scaccia,
     Appar co’l volto suo lucido, e vero:
     Tal, quando discacciò la senil faccia
     Vertunno, e prese il suo volto primiero,
     Un Sole apparve. ei già stendea le braccia,
     Per dar per forza effetto al suo pensiero,
     Ma non fu d’huopo, che ’l suo bel sembiante
     La fe venir di lui subito amante.

Vertunno da Pomona il premio ottenne
     D’amor, che tanto havea desiderato,
     Mentre che Proca in man lo scettro tenne
     Del regno, che i Troiani havean fondato.
     Dapoi che ’l vecchio Proca à morte venne,
     Si fe tiranno Amulio de lo Stato;
     Havendolo occupato empio, e rubello
     Al giusto Numitore, al suo fratello.

Ma finalmente i due figli di Marte
     Romulo, e Remo tolsero il governo
     À l’empio Amulio, e fer, che in quella parte
     Tenne l’ imperio il loro avo materno.
     Cercando poi con ogni studio, et arte
     Il sublime imitar valor paterno,
     Fondar nel sen del Latio più giocondo
     L’alma città, che poi diè legge al mondo.

Poi prevedendo il primo Re Romano,
     Che verria tosto il loro imperio al fine,
     E che s’opravan senza donne in vano
     Per eternar le forti alme Latine,
     Rubò con forte, e valorosa mano
     Le spose madri, e vergini Sabine;
     E fu cagion, che Tatio mosse guerra
     À la nova da lui fondata terra.

Le guardie il forte Romulo dispose
     Per tutto, à Baloardi, et à le porte;
     E de la cittadella à guardia pose
     Tarpeio, un cavalier prudente, e forte.
     Ma con Tarpeia Tatio si compose
     Figlia del castellano, e fe di sorte,
     Ch’al voto suo con doni la converse,
     E fe ch’à suoi guerrier la porta aperse.

Le promiser Sabini per mercede
     Del braccio manco loro ogni ornamento,
     E non mancar de la promessa fede;
     Che dato c’hebbe effetto al tradimento,
     Lo scudo suo su’l volto ogn’un le diede,
     E fer passarla à l’ultimo tormento.
     Che vi restò il suo corpo al fin coperto,
     E n’hebbe la mercè secondo il merto.

Poi che i Sabini preso hebbero il monte
     De la rocca maggior con le lor frodi,
     Mandalo molti al regno di Acheronte
     Dal sonno oppressi, ch’ivi eran custodi.
     Ver quelle parti poi drizzan la fronte
     Con ordinati, e taciturni modi,
     C’haveva à piè del colle il Re ferrate
     Per maggior sicurta de la cittate.