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Se ’n và di notte innanzi à le sue porte,
     E suona il suo liuto, e move il canto,
     E mentre fa le sue parole accorte
     Sentire, insin da marmi impetra il pianto.
     Loda di poesia con ogni sorte
     La bellezza di lei mirabil tanto.
     E cosi sfoga il tormentato core
     L’altrui beltà cantando, e ’l suo dolore.

Sfoga l’acceso core, e non si parte,
     Che pria co’ versi la licenza prende.
     E del suo pianto havendole ben sparte
     Di varij fior varie corone appende.
     E n’orna le sue porte, e con ogni arte.
     Per ogni via, che puote, honor le rende.
     Ma faccia quel, che vuole; ella sta dura,
     E de gli officij suoi nulla non cura.

Del tutto disperato l’infelice
     Ad ogni amico suo chiede soccorso.
     Ragguaglia del suo amor la sua nutrice
     Di ciò, che gli è fin à quel tempo occorso.
     E che s’ella il suo aiuto gli disdice,
     Ei sarà tosto al fin del vital corso.
     La prega, s’ella ha in lui punto di speme,
     Che toglia via quel mal, che tanto il preme.

Quando la balia à più d’un segno scorge
     L’intenso amore, e ’l suo mortal periglio,
     E che ’l duol sempre in lui maggior risorge,
     Vuol con l’opra aiutarlo, e co’l consiglio.
     Lettre, ambasciate à la fanciulla porge
     Da parte del da lei nutrito figlio.
     Legger dura, e proterva ella non vole
     L’affetuose sue dolci parole.

Oh quante volte addolorato, e stanco
     Poi che ’l canto il suo duol fece palese,
     Posò su duri sassi il molle fianco,
     E dopo un lungo affanno il sonno il prese.
     Si risvegliò da poi pallido, e bianco,
     E fe, che ’l canto suo di novo intese.
     Et à quel ferro disse ingiuria intanto,
     Che non aprì la porta al suono, e al canto.

Manda nove ambasciate, e nove carte
     Per mesi à questo officio eletti, e buoni.
     Ogni maniera accorta usa, et ogni arte,
     Perche date à lei sian promesse, e doni.
     Ma le tante da lui lagrime sparte
     Sprezza ella, e carte, e premij, e canti, e suoni.
     E quanto ei più l’honora, e più l’osserva,
     Tanto ella contra lui vien più proterva.

E non basta à la donna ingiusta, e fera,
     Che con ogni attione empia l’uccide,
     Ch’ogni parola ingrata, infame, e altera
     Gli dice, et ogni suo merto deride.
     Tal, che forz’è, che l’infelice pera,
     Poi che di lui le voci, e l’opre infide
     No’l fraudan sol del desiato bene,
     Ma quel poco don, che dà la spene.

Non puote più lo sventurato amante
     Soffrir si lungo suo duolo, e tormento;
     E innanzi à quelle porte, à cui davante
     Sentir co’l suon fe il doloroso accento,
     Pria, che schiarisse il ciel verso levante,
     Disse (ma senza suon) questo lamento.
     Hai vinto, hai vinto Anassarete, hor godi
     D’haver via tolti i miei noiosi nodi.

Non havrai da temer, che più t’offenda
     Il mio amore, il mio tedio, e la mia noia.
     Però ch’ à fin, che te contenta io renda,
     Ha risoluto Amor, c’hor hora io muoia.
     Hor prepara il trionfo, hor fa, ch’ intenda
     Il popolo il tuo gaudio, e la tua gioia;
     Di trionfale alloro orna la testa,
     E fa del mio morir trionfo, e festa.

Fra tanti offici, ond’io ti fui importuno,
     Ond’ io ne fui da tè tanto odiato,
     Io n’havrò pure una volta fatt’uno,
     Che per forza dirai, che ti fu grato.
     Che subito, ch’al regno aflitto, e bruno
     Saprai, ch’io lo mio spirto habbia mandato,
     Tu confesserai pur, che da me nacque
     Un’attion, che sola al fin ti piacque.