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libro

Ma ricercando poi le parti ascose,
     Ch’albergan Galathea ne la tua mente;
     Invece de i ligustri, e de le rose,
     Ogni herba vi si trova aspra, e pungente,
     Ortiche, spine, et herbe velenose.
     E se promette il volto esser clemente,
     Ne porge il rio pensier, c’hai dentro al core,
     Noia, pianto, discordia, e finto amore.

Deh fa, che in te pietà regni, e risponda
     A l’altre parti tue gradite, e belle.
     E poi che d’ogni gratia il viso abonda,
     Scaccia dal cor le parti inique, e felle.
     E non fuggir da me ne la salsa onda,
     A ritrovar tua madre, e tue sorelle.
     C’haver sol per amore io ti vorrei,
     Ne contra il tuo voler mai gir potrei.

Io credo ben, se tu de l’esser mio
     Sapessi in parte almen, se non in tutto,
     Che non havresti il cor ver me si rio,
     Ne t’andresti à gittar nel marin flutto.
     Ne sol faresti il cor benigno, e pio,
     E ti dorria del mio lamento, e lutto;
     Ma brameresti sopra ogni altra cosa
     Di farti à Polifemo amica, ò sposa.

Gli antri capaci miei ne’ sassi vivi,
     Han si ben posto il lor ricetto interno,
     Che non hanno à temer gli ardori estivi,
     Ne men posson sentir l’horror del verno.
     Forse che i campi miei son scarsi, e privi
     De’ frutti, ch’à l’human servon governo?
     N’han tanti, e si maturi, e si soavi,
     Che i rami romper fan, tanto son gravi.

In copia attendon te l’uve mature,
     Del bello aureo color liete, e gioconde,
     Mostran de altre uve anchor le scorze oscure,
     Ch’è maturo il liquor, ch’entro s’asconde.
     Potrai veder fra l’humili verdure
     Le fraghe rosseggiar fra verdi fronde.
     E per serbarle à la tua bianca mano,
     Io fo guardarle, e starne ognun lontano.

Se ben la siepe v’han fondata, e forte,
     Ogni horto ha il suo custode, e ’l suo mastino.
     Di peri, e pomi, e frutti d’ogni sorte
     Abonda ogni mio campo, ogni giardino.
     Tommi pur per amante, ò per consorte,
     E togli ogni mio bene in tuo domino.
     Ogni arbore, ogni frutto, che vi pende,
     La tua candida man brama, et attende.

Se vuoi veder, ch’io più posso in effetto,
     Di quel, che detto t’han le mie proposte,
     Pon mente à queste gregge, à cui permetto,
     Che pascan queste valli, e queste coste.
     Quante n’ho anchor, che per vario rispetto,
     Per gli antri, e per le selve stan nascoste.
     Ne il numero saprei mai dirne intero,
     Quando bramasse alcun saperne il vero.

È da persona povera, e mendica
     Le capre haver per numero, e l’agnelle.
     Vieni à veder da te senza ch’io ’l dica,
     Quanto sian grasse, e ben formate, e belle.
     Che par che portar possano à fatica
     Le copiose, e tumide mammelle.
     I parti lor più teneri, e gentili,
     Si stanno anchor ne’ lor tepidi ovili.

Fra i molli latticinij io mi confondo,
     Tanti, e si freschi n’ho di giorno in giorno.
     Se del latte indurato in copia abondo,
     Ne fan le gregge fè, c’ho quì d’intorno.
     Deh lieva il viso homai grato, e giocondo
     Fuor del paterno tuo marin soggiorno,
     E vienne à me, che di buon cor ti chiamo,
     E d’honorarti sol discorro, e bramo.

Forse sol doni havrai da me vulgari,
     Ó lepri, ò caprij, ò pargoletti augelli
     Di presenti comuni, et ordinari:
     Ben vorrò, ch’ogni dì n’habbi novelli.
     Ma vorrò anchor di doni illustri, e rari
     Contentar gli occhi tuoi lucenti, e belli.
     Cacciare à questi giorni un’orsa io volsi,
     E con la vita à lei due figli tolsi.