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Dicon chete le donne i santi Carmi,
     E per salvar l’honor corrono à i tempi;
     Abbraccian mentre ponno i sacri marmi,
     Mercè chiedendo à minacciati scempi.
     Van poi per mezzo à le ruine, e à l’armi
     Prede de lor nemici avari, et empi;
     E son condutte à le Pelasghe navi
     Per li molti trofei superbe, e gravi.

Astianatte da l’istessa torre,
     Onde già gli solea mostrar la madre
     Il lodato valor del padre Hettorre,
     Mentre fuggir facea l’Argive squadre,
     Gittan gl’iniqui Achei per l’alma torre
     À le sue membra tenere, e leggiadre.
     Ovunque la città si stende, e gira,
     Tutta è di crudeltate essempio, e d’ira.

Già persuade à lor propitio il vento,
     Che debbian ritornare al lito Argivo:
     Baccia la terra afflitto, e mal contento
     Il Frigio popol misero, e cattivo.
     L’ultimo lor sentir fan poi lamento
     Al lito lor di tanto imperio privo.
     E mentre il vento porta i legni à volo,
     Priva i Frigij del suol, de’ Frigij il suolo.

Hecuba sventurata ultima venne
     Su’l crudo pin de l’Attica cohorte;
     Fra sepolcri de’ figli ella si tenne,
     La miserabil lor piangendo morte.
     Al saggio guerrier d’Itaca convenne
     Indi levarla, à cui toccò per sorte.
     Per forza la levò, pur nondimeno
     La cenere d’un sol portò nel seno.

L’addolorata madre pur fa tanto,
     Che la polve d’Hettor seco conduce,
     E ’l bianco crine in quella vece, e ’l pianto
     Lascia, che fa la lagrimosa luce.
     Cosi l’officio fe funebre, e santo,
     Povere essequie à cosi ricco Duce.
     Con l’altre al fin montò la sventurata
     Su la vittoriosa Argiva armata.

Incontro (ove fu Troia) un regno siede,
     Ch’è sottoposto à la Bistonia gente.
     Polinnestor v’havea la regia sede,
     Non men crudo, et avaro, che possente.
     Il miser Re di Troia à lui già diede
     Polidoro un suo figlio ascosamente.
     Per torlo (il fe nutrir ne l’altrui terra)
     À gl’infortunij rei di quella guerra.

Nel mandar fuora il Re Troiano un figlio,
     Mostrò prudente, et aveduto ingegno.
     Che basta un sol, che sia fuor di periglio,
     À racquistar talhor l’honore, e ’l regno.
     Ma l’avaritia altrui fe il suo consiglio
     Vano, e gli ruppe il suo saggio disegno;
     Fè l’avaritia il suo discorso vano
     Del rio Signor, cui diede il figlio in mano.

Al Tracio Re per più d’un suo rispetto
     Diè Priamo in guardia anchora un gran thesoro.
     Hor come udì di Troia il crudo effetto
     Il custode crudel di Polidoro,
     Passò al miser fanciullo il collo, e ’l petto,
     Spinto da l’avaritia di tanto oro.
     Poi come il corpo asconda anchor l’errore,
     Nel propinquo il gittò salato humore.

Lasciò l’armata l’Asiana terra
     E passato havea Tenedo di poco,
     Quand’Austro fe con nova, et aspra guerra
     L’elemento turbar contrario al foco.
     La Tracia con la classe Atride afferra
     Nel più propinquo, e più sicuro loco.
     Dove per ben comun vuol tanto stare,
     Che vegga esser placato il vento, e ’l mare.

À pena con la corte il grande Atride
     Su’l lito de la Tracia era smontato,
     Ch’aprir la terra in un momento vide,
     E fuora uscirne un cavaliero armato.
     L’ombra era, e la sembianza di Pelide,
     Nel volto minaccevole, e turbato;
     Et assaltò in quel modo il Duce Argivo,
     Co’l qual l’assaltò già mentre fu vivo.