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Non ho sì strano, e sì maligno il core,
     Ch’al merito d’altrui voglia far torto.
     Ma non dia tanto Aiace al suo valore,
     Che resti il pregio altrui del tutto morto.
     Ne solo egli si dà tutto l’honore
     D’haver contra i Troian difeso il porto:
     Ma vuol nel raccontar cert’altre prove,
     Tutto l’honor, ch’esser dovria di nove.

S’innalza insino al Ciel, che col più forte
     Figliuol del Re Troian venne à duello;
     E pure ei sa, ch’à la medesma sorte
     S’ espose Ulisse, e ’l Re co’l suo fratello.
     Nove guerrier de la Pelasga corte
     Fur, che bramar ne lo steccato havello.
     E s’ei fu quel, che vi pugnò, fu’ il caso,
     Che uscir fe il nome suo prima del vaso.

Hor dimmi tu, che ti fai tanto fiero,
     Perche da solo à sol già combattesti
     Con si famoso, e forte cavaliero,
     Qual di tal guerra gloria al fin trahesti?
     Tu te ne vai di tal duello altero,
     Ne di sangue una goccia à lui togliesti.
     Non dee vantarsi un’ huom prudente, e saggio
     Di pugna, ove non hebbe alcun vantaggio.

Miser, ch’ogni hor tanto dolor m’assale,
     Che sforza à lagrimar le mie pupille,
     Che di quel tempo à me sovien nel quale
     Cadde il muro de Greci, io dico Achille,
     Che ’l pianto, il duol, la tema, e ogni altro male
     Non poter tormi, ch’ io fra mille, e mille
     Non togliessi quel corpo sul mio tergo,
     E no’l portassi entro al suo proprio albergo.

Su questo dosso mio, su questo dosso
     (Come ogni cavalier fede può farme)
     Un corpo cosi grande, e cosi grosso
     Portai nel campo Acheo con tutte l’arme.
     Hor com’ei potrà più dir, ch’io non posso
     (Come detto hà) di tanto peso armarme?
     S’io portai non sol l’arme innanzi à vui
     Del figlio di Peleo, ma l’arme é e lui ?

Certo che Theti fe fare à Vulcano
     Per tanto figlio un scudo cosi degno,
     Dove la terra, l’aere, e l’oceano
     Pinse, e co’l foco ogni celeste segno:
     Perche dovesse poi venire in mano
     D’un’ huom senza dottrina, e senza imgegno.
     Che farà di quell’arme ei, se l’impetra,
     Se in quel, che v’è dipinto, non penetra?

L’Hiade con le Pleiade vi furo
     Dal fabro impresse del Rettor superno.
     Vi stà freddo, e gelato il pigro Arturo
     Ver quella parte, ov’ha più forza il verno.
     V’è l’armato Orion, c’horrendo, e scuro
     Suol l’aere, e ’l mar talhor far un’ inferno.
     Con tutto questo Aiace anchor contende,
     E vuol quell’arme haver, che non intende.

Con che giudicio, ò Dei, con che consiglio
     M’osa Aiace accusar, ch’io venni tardo
     Al destinato martial periglio,
     E c’hebbi à l’honor mio poco riguardo?
     Ne s’accorge il meschin, ch’ancora il figlio
     Del famoso Peleo chiama codardo.
     E mentre me fa del mio honor rubello,
     Dà biasmo al forte Achille, al suo fratello.

S’errore in me chiamate l’haver finto,
     Sapete, c’habbiam finto tutti dui.
     S’io mi son tardi à tanta impresa accinto,
     Più presto vi comparsi almen di lui.
     Da la mia pia consorte io restai vinto,
     Ne seppi contradire à preghi sui.
     S’ascose Achille à le Spartane squadre
     Per compiacere à la pietosa madre.

Brevissimo con lor femmo soggiorno,
     Ma dimorammo ben con voi molt’anni.
     Hor chi dirà, ch’à me portasse scorno,
     Che ’l si lodato Achille non condanni ?
     D’habiti muliebri Achille adorno
     Seppi io trovar sotto i mentiti panni.
     Ma se ben tanto fece, e tanto disse
     Aiace, ritrovar non seppe Ulisse.