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Se l’arme s’ han da dare al proprio herede,
     À quel, ch’al forte Achille è più congiunto;
     La parte mia già si ritira, e cede,
     Che molti gradi io son da lui disgiunto:
     Ma stolto Aiace è ben, se d’esser crede
     Il successor più prossimo al defunto;
     Perche se ben d’Achille egli è cugino,
     Pirro, che gli è figliuol, gli è più vicino.

Succeda Pirro, e ’l suo padre Peleo,
     Se s’ha quel pregio à dar per questa via.
     Facciasi pur solcare il mare Egeo,
     E si mandin quell’arme à Sciro, ò à Phthia.
     E Teucro anchor lo stesso al campo Acheo,
     Che d’Achille è cugin, chieder potria;
     No’l fa però, che sà, che ’l più pregiato
     Le de ottener da l’Attico Senato.

Hor poi che piace à la Pelasga corte
     Di dar quell’opra illustre di Vulcano
     À quel di noi, che più prudente, e forte
     Ha fatto maggior danno al Re Troiano:
     Dal giorno, ch’io lasciai le patrie porte,
     Dirò l’opre, ch’ io fei di mano in mano,
     Se le parole havrò però si pronte,
     Che possan far, che tutte io le racconte.

Poi che la madre Theti hebbe previsto,
     Ch’à Troia il suo figliuol dovea morire,
     Perche com’ huom da noi non fosse visto
     À guisa di donzella il fe vestire.
     E per fuggir quel fato acerbo, e tristo,
     Appresso il Re di Sciro il fe nutrire:
     Et ingannò con l’habito fallace
     Ogni Argivo guerrier, fra gli altri Aiace.

Ma perche il Re Troian l’ultimo danno
     Non potea haver senza il valor d’Achille,
     Anch’ io mentendo la persona, e ’l panno,
     Cercai per le cittadi, e per le ville.
     Scopersi al fin l’inganno con l’inganno,
     Poi che feci à le sue veder pupille
     Fra l’altra merce muliebre, e vile
     L’arme, che ’l cor potean mover virile.

In forma di mercante errando andai
     Con veli, et altre merci da donzelle:
     È ver, ch’anchor de l’arme io vi mischiai,
     Lame di varie forme, e tutte belle.
     In Sciro al fine Achille io ritrovai,
     Ma non con le sue debite gonnelle.
     À le figlie del Re fea compagnia,
     Che volean mercantar la merce mia.

Preser le figlie allhor di Licomede
     La conocchia, il dital, la cuffia, e ’l velo.
     Ma come gli occhi à l’arme Achille diede,
     Prese una man lo scudo, e l’altra il telo.
     Perche non vai (gli dissi) ù ti richiede
     Il gran favor, che t’ ha promesso il cielo?
     Non sai, che la viltà di queste spoglie,
     Mille, con biasmo tuo, trofei ti toglie?

Per la via de la gloria, e de l’honore
     D’unirsi al campo Acheo gli accesi l’alma,
     Tanto ch’io fui cagion, che ’l suo valore
     Fè morta à tanti Heroi la carnal salma.
     Hor se ricchi vi fei del suo favore,
     Da me riconoscete ogni sua palma.
     Io vinsi Telefon con la sua mano,
     Quando un colpo il ferì, l’altro il fe sano.

Se Thebe, Chrise, e Lesbo ei pose in terra;
     Se la città Lirnesia fu distrutta;
     Se à Cilla, à Siro, à Tenedo fe guerra;
     Dite pur, che d’ Ulisse opra fu tutta.
     Io vi diè quel, che Hettor fe andar sotterra,
     C’ ha tanta gente Argiva al fin condutta.
     Se ’l coraggioso Hettor senz’alma giace,
     Ne son stat’ io cagione, e non Aiace.

Quell’arme, ond’io trovai quel cavaliero,
     Che vincer fevvi, à darmi io vi conforto.
     E s’io sol per giovare al vostro impero,
     Glie le diè per condurlo al Frigio porto;
     Se ne ’l fei gir, mentre che visse, altero;
     Rendetemele almeno hor che gliè morto.
     S’io vi diè l’arme, e lui; ben giusto parme
     Che s’ ho perduto lui, non perda l’arme.