Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/448

LIBRO TERZODECIMO

P
osto à seder nel seggio alto, e reale

     L’Imperador de’ Greci illustri regni,
     Fur posti intorno al regio tribunale
     Di grado in grado i Principi più degni.
     Poi per sapere, à cui l’arma fatale
     Del forte Achille il lor giudicio assegni,
     Concorse ogn’un ne l’habito più adorno,
     E fece a’ Greci Heroi corona intorno.

Su’l palco, visto questo, Aiace ascende,
     Che sopra il vulgo humil molt’alto sorge.
     E come gli occhi irati intorno intende,
     E che ciascun ver lui rivolto scorge,
     Secondo l’ ira impatiente il rende,
     Mentre à le navi Achee lo sguardo porge,
     Sdegnato ambe le man tendendo al lido,
     Mostrò l’ irato cor con questo grido.

Può stare ò sommi Dei, che in questo loco
     Fra Ulisse, e me tal causa habbia à trattarsi
     Innanzi à questi legni, ch’ io dal foco
     D’Hettor salvai, che non restar tutt’arsi ?
     Deh parlate per me voi navi un poco
     Contra chi pensa al mio merto agguagliarsi:
     Voi pur vedeste allhor le nostre imprese,
     E chi fuggì dal porto, e chi il difese.

Benche se riguardiam con sana mente
     Quanto il facondo dir d’ Ulisse importe,
     Si governò da saggio, e da prudente,
     À non si porre à rischio de la morte.
     Ch’è meglio co’l dir finto, et eloquente
     Pugnar, che con la man feroce, e forte.
     E se l’armata havesse Hettor disfatta,
     Con le parole ei poi l’havria rifatta.

Tal che per mal de l’aversaria terra
     Io fei bene à pugnare, egli à fuggire:
     Poi che ’l favor del ciel, che in noi si serra,
     Fa, ch’altri val co’l fare, altri co’l dire.
     Poi che quant’ io ne la feroce guerra
     Vaglio per far difesa, e per ferire,
     Tanto val’ ei co’l dir terso, et ornato,
     Secondo ch’à ciascun diede il suo fato.