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Ulisse, che del campo Acheo gran parte
Si vede haver, ch’à tanto honore il chiama,
Tien mezzi occulti, e accorti, e con grand’arte
Cerca ottener dal Re quel, che più brama.
Aiace per le piazze, e in ogni parte,
Che si fa torto al suo valore, esclama,
Se per ventura il Re tien, che più merte
Quell’arme havere il figlio di Laerte.
Menelao, Diomede, e ogn’un, ch’intende
Dov’è rivolto il popolar discorso,
Non osa dir di se, che non intende
Di contraporsi al publico concorso.
Ogn’un del campo al Re l’orecchie offende,
E conta ciò, che in quella guerra è occorso,
Per fare inchinar lui, ch’ascolta, e tace,
Altri in favor d’Ulisse, altri d’Aiace.
Il Re, prudente, e di giudicio intero,
Per far, ch’alcun da lui non resti offeso,
Vuol, che sia l’uno, e l’altro cavaliero
Dal saggio concistoro Attico inteso.
Indi, gli Heroi del Greco illustre impero
Fatti chiamare, à lor dà tutto il peso,
Di far giudicio universale, e certo
Qual de due cavalier sia più di merto.
IL FINE DEL DUODECIMO LIBRO.