Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/444

Se qualche occasion venisse à sorte,
     Onde à creder s’havesse al salso regno,
     Gli vorrei far conoscer quanto importe
     L’ira del mio tridente, e del mio sdegno.
     E per donarlo à la tartarea corte
     Non saria d’huopo il tuo ferrato legno.
     Hor poich’ei non si crede al fuso sale,
     Supplisci, ove manco io, tu co’l tuo strale.

Consente al Re del mar lo Dio di Delo,
     Come quel, che di lui non ha men voglia.
     Fa scender tosto un nuvolo dal cielo,
     E fanne al suo splendor novella spoglia.
     Poi vola via co’l più fidato telo,
     Per vendicar di due l’ira, e la doglia:
     Giunge in un volo al Troian campo, e vede
     Pari, c’hor questo, hor quel con l’arco fiede.

Solo à lui si palesa, indi il riprende,
     Che sa male esseguir la sua vendetta,
     E che gli strali suoi vilmente spende,
     Poi che la plebe sol segue, e saetta.
     Và (dice) dove Achille i nostri offende,
     E tira contra lui la tua saetta.
     Gli mostra intanto, ove il cugin d’Aiace
     Tutto il campo Troian distrugge, e sface.

Gli dona un de suoi strali, e gli ricorda,
     Ch’egli fece ad Hettor l’estremo incarco.
     Pari da l’ira acceso il dardo incorda,
     Poi fa il legno venir talmente carco,
     Che pare una piramide la corda,
     E mezzo cerchio à punto assembra l’arco.
     Dà nel volare Apollo al dardo aita,
     E fa passare Achille à l’altra vita.

Hor te, da cui fu, Achille, ogni altro vinto,
     Che fosse allhor fra noi più fiero, e forte,
     Un’huomo effeminato, e molle ha estinto,
     Involator de l’Attica consorte.
     Se da feminil mano essere spinto
     Dovevi pure al regno de la morte,
     T’era più honor, che l’Amazonia guerra
     Facesse il corpo tuo venir di terra.

Quel gran terror del buon campo Troiano,
     Muro, et honor de la Pelasga gente,
     Già consumato havea tutto Vulcano
     Con la sua fiamma rapida, et ardente.
     Lo stesso Dio, che con la propria mano
     Formò quell’alma dura, e risplendente,
     Che ’l glorioso Achille in cener volse,
     Diè l’arme al busto, à l’arme il busto tolse.

Altro di si grand’huomo hor non appare,
     Che polve di si poco, e debil pondo,
     Ch’ogni più debil man la può portare,
     E tutta la capisce un picciol tondo.
     Pur vive, e ’l nome suo non può mancare;
     Vola la fama sua per tutto il mondo.
     La gloria sua, che eternamente vive,
     Spatio à tant’huomo egual ben si prescrive.

L’arme, ch’ogni hor nel martial flagello
     Solean cercando andar battaglie, e risse,
     Talmente oprar, se ben restar senz’ello,
     Che quasi fer, ch’à l’arme si venisse.
     E fecer quasi à singolar duello
     Venire il fiero Aiace, e ’l saggio Ulisse.
     Per l’arme à l’arme quasi un dì si venne,
     Per quel, che nel Senato Acheo s’ottenne.

Conchiuso fu dal publico Senato,
     Che l’arma d’un guerrier di tanto pregio,
     Render quel cavalier dovesse armato,
     Che nel campo de’ Greci era il più egregio;
     Colui, che più valore havea mostrato
     Per favorir l’universal collegio;
     E si pregò da ogn’un l’Imperadore,
     C’havesse à giudicar di tanto honore.

Tempo à pensarvi il Re dubbioso tolse,
     Per non errar co’l subito consiglio.
     Indi à fare spiar l’animo volse,
     À chi le desse il popular bisbiglio.
     La voce popular la lingua sciolse,
     E le dier molti al valoroso figlio
     Di Telamon, molt’ altri più prudenti
     Per l’Itaco guerrier mosser gli accenti.