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Se vinto allhora io non havessi Hettorre,
     Gli sarei stato al par co’l ferro in mano,
     Bench’egli era fanciullo, ò sceso à torre
     Non era forse anchora il volto humano.
     Hor la mia vecchia età, ch’al suo fin corre,
     Mi fa combatter debile, e mal sano.
     Come vedete, à tale io son venuto,
     Che co’l consiglio sol vi porgo aiuto.

Non molto dopo il nobil Perifanto
     Del gemino Pireto hebbe la palma,
     E poco appresso Ampico al carnal manto
     Del quadrupede Oiclo involò l’alma.
     Macareo Peletronio estinse intanto
     Ad Eridupo la terrena salma.
     Nesseo fu anchor dal tridentato telo
     Ucciso del fortissimo Cimelo.

E tu Mopso gentil, qua giù volesti
     Non solo à profetar dar l’opra, e l’arte,
     Ma per noi far la guerra, e combattesti
     Tu anchor co’ rei Centauri la tua parte.
     Al quadrupede Odite al fin togliesti
     Quelle virtù, che l’anima comparte.
     Gli unì il tuo dardo co’l palato il mento,
     E tentò in van dar fuor l’ultimo accento.

Ceneo, che di farsi huom di donna ottenne,
     E di mai non poter esser ferito,
     Del popol, ch’à incontrar superbo il venne,
     N’havea già fatti andar cinque à Cocito.
     Co’ nomi in mente il numero si tenne,
     Ma il modo m’è de la memoria uscito,
     Stifelo, Bromo, Antimaco, et Helimo,
     Diè con Pirammo al regno afflitto, et imo.

Ben mi sovien del modo, che Ceneo
     Tenne nel fare essangue al sesto il busto.
     Gli venne incontra il Centauro Latreo,
     Un’huom di mezza età forte, e robusto.
     Scemo pur dianzi il popol Larisseo
     D’Haleso havea col suo ferrato fusto.
     E per correr piu franco à farne scorno,
     Era de l’arme sue fattosi adorno.

Ó Cena (dice à lui) nata donzella,
     E s’huomo hor sei, tu sai per qual mercede,
     Deh spoglia l’arme, e vesti una gonnella,
     Secondo il feminile uso richiede:
     E lascia à l’huom la pugna acerba, e fella,
     Che salvi il suo thesor da l’altrui prede:
     E tu sedendo torna al primiero uso,
     E spoglia la conocchia, e vesti il fuso.

Mentre il Centauro glorioso, e vano
     Colui, che donna fu, scherne, e riprende,
     Ceneo, ch’anchora alquanto era lontano,
     Il fianco con un dardo al mostro offende.
     Latreo tosto ver lui co’l ferro in mano
     Le zampe cavalline al corso stende:
     E vago di vendetta in prima giunta
     Verso la fronte sua tira una punta.

Come balza la grandine su’l tetto,
     Qual l’enfiato pallon balza su marmi,
     Cosi indietro balzar fa senza effetto
     La fronte giovinil del mostro l’armi.
     Ei, che ’l novo di lui virile aspetto
     Fatato esser non sa da sacri carmi,
     La punta incolpa, e di provar gli aggrada,
     Se meglio il serva il taglio de la spada.

Drizza la mira al volto, e fermo tiene
     Di finir con un colpo la battaglia,
     Ma indietro il ferro suo ribalza, e viene,
     E percote la carne, e non la taglia.
     Ma il colpo di Ceneo già non sostiene
     Il mostro con la sua lorica, e maglia;
     Ceneo l’acciar vittorioso, e franco
     Fa tutto penetrar nel viril fianco.

Movendo poi la vincitrice palma
     In su, e in giù per la piagata vita,
     Per far fuggir del doppio albergo l’alma,
     Nove ferite fa ne la ferita.
     E non restò, che de l’humana salma
     Vide l’alma del tutto esser uscita.
     Fatto c’hebbe Latreo de l’alma scosso,
     Tutto il biforme stuol si vide adosso.