Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/439


214

Costei con la beltà, co ’l dolce affetto,
     Con fargli servitù fe si, che ’l prese;
     E tanto più, che ’l suo leggiadro aspetto
     Con varie foggie ogn’hor più adorno rese.
     Fatto de gli occhi suoi lo specchio obbietto,
     Le chiome del color de l’oro accese.
     Si pettinava, e dopo in varij modi
     Più belle le rendea con treccie, e nodi.

Nel petto ogn’hor tenea qualche bel fiore,
     Ch’al sen porgeva gratia, et ornamento:
     Nel far ghirlande il vario, e bel colore
     Con mirabil tessea compartimento.
     Se ne fea poi con tal giudicio honore,
     Ch’ogni occhio fea di se restar contento:
     E per star ben pulita, havea in costume
     Due volte il dì purgarsi in mezzo al fiume.

Solea portare ornato il busto altero
     De le più vaghe, e pretiose pelli.
     Hor vestia l’armellino, hora il cerviero
     Con varij adornamenti, e tutti belli.
     Insieme con amor fedele, e vero
     Hor cacciavan co’ veltri, hor con gli augelli.
     Gian sempre insieme, e allhor feri, et arditi
     Insieme combattean contra i Lapiti.

Mentre con pari ardir guerra ne fanno,
     Un dardo in furia vien dal lato manco,
     E fora al fier Centauro il carnal panno,
     E ’l fa in terra cader pallido, e bianco.
     Come s’accorge Hilonome del danno,
     E ch’à lo sposo suo l’ardir vien manco,
     Il cura, et ogni officio usa più fido,
     Perche non lasci l’alma il carnal nido.

Ma come l’infelice il vede spento,
     E mancata del tutto esser la spene,
     Fà sentir fin’al cielo il suo lamento,
     E stride, e piange il suo perduto bene.
     Distinto io non potei sentir l’accento,
     Che facea fede altrui de le sue pene;
     Che ’l romor, che produr la guerra suole,
     Fè, ch’udir non potei le sue parole.

Poi che ’l suo pianto vano esser s’accorse,
     E restare il suo ben da lei diviso,
     Quel dardo proprio in se stessa contorse,
     C’havea pur dianzi il suo marito ucciso:
     E cadde, e intorno à lui le braccia porse,
     Baciollo, et accostò viso con viso;
     Poi chiuse gli occhi, e mandò l’alma intanto
     Al giusto tribunal di Radamanto.

Innanzi à gli occhi anchor di veder parmi
     Feocome, ch’un ceppo havea afferrato;
     Un tronco havea sospeso in vece d’armi,
     Ch’à pena quattro buoi l’havrian tirato.
     Io ’l guardo, e come veggo il legno trarmi,
     Fuggo l’incontro suo dal manco lato.
     Di Fonoleno al figlio il ceppo arriva,
     E in men d’un balenar de l’alma il priva.

Gli schiaccia in modo il capo il grave peso,
     Ch’à perder l’alma il misero costringe;
     Gli occhi, la bocca, et ogni loco offeso
     Fuor co ’l sangue il cervel per forza spinge;
     Come si vede uscir il latte appreso
     Fra i molti giunchi, ove s’assoda, e stringe.
     L’homicida crudel, che morto il vede,
     Per privarlo de l’arme affretta il piede.

Io, c’havea sempre in lui le luci intente,
     M’opposi con la spada al suo pensiero,
     E con una stoccata, et un fendente
     L’arme salvai del morto cavaliero.
     Sa bene il padre tuo, ch’era presente,
     S’io dico in questa parte, Achille, il vero.
     A Tonio, e Theleboa poi tolsi il lume,
     E fei passarli al sotterraneo fiume.

Portava il primo un biforcato legno,
     E no ’l solea giamai menare in fallo.
     Co’ dardi l’altro del tartareo regno
     Hor questo, hor quel guerrier rendea vassallo.
     Costui mi ferì il collo; eccovi il segno,
     Che ne fa fede, ecco Peleo, che sallo.
     Allhora era il mio tempo, allhora io feci,
     Allhor dovean condurmi à Troia i Greci.