Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/435

Un candelier sopra l’altare acceso
     Con tutte due le man prende un Centauro,
     E l’alza verso Calidonte inteso,
     Come si fa, s’un vuol ferire un tauro.
     Lasciando poi su lui cadere il peso
     Toglie al suo corpo il suo maggior thesauro.
     Gli fa il gran candelier pesante, e truce
     Le tenebre acquistar, perder la luce.

À vendicare il morto Calidonte,
     Un Pelate Pelleo tosto si diede,
     Et al sicario rio ruppe la fronte
     Con d’una mensa d’acero, un gran piede.
     E in quel, ch’ei l’alma sua manda à Caronte,
     Esser presso à l’altar Grineo si vede:
     (Biforme anch’egli) e ben, che grave il senta,
     L’alza, e contra i Lapiti empio l’aventa.

Percuote con furor la sacra pietra
     Il miser Broteano, et Orione,
     E di questo, e di quello il sasso impetra
     L’anima essangue al regno di Plutone.
     Essadio, che restare ignuda, e tetra
     D’ambi conobbe la carnal prigione,
     Disse. Non morrà già senza vendetta,
     Se l’homicida il mio tormento aspetta.

Vede in un pino affisse un par di corna
     Di cervo, forse poste ivi per voto:
     Subitamente il pin ne disadorna,
     E dalle in preda al violente moto.
     Volan le corna, ove Grineo soggiorna,
     E fanno il fil di lui troncar à Cloto.
     Talmente entrar due rami entro à suoi lumi,
     Che più l’altar non tolse à santi Numi.

De gli occhi parte in su le corna resta,
     In su la barba un’altra parte cade,
     Ne molto stà, che la sanguigna testa
     S’atterra, e vien al fin de la sua etade.
     Di quà, di là la gente morta resta
     Da legni, da le pietre, e da le spade.
     Fanno in diversi luoghi, e questi, e quelli
     Mille colpi mortai, mille duelli.

Reto, un Centauro, un tizzo acceso prende,
     Che parea quasi una mezzana trave:
     L’alza à due mani, e poi fa, che discende
     Sopra Carasso ingiurioso, e grave.
     Nel capo il fere, e ’l suo capello accende
     Con la vampa, che lucida anchor v’have;
     Arde il sottil capello, e stride, e scoppia,
     Come d’Agosto fa, s’arde la stoppia.

Come talhor, se ’l fabro il ferro acceso,
     Dov’ha nel cavo sasso il fonte, affonda,
     Vien, che ciascun dal suo contrario offeso
     Stride, e fremer si sente il foco, e l’onda:
     Così fu il sangue, e ’l crin fremer inteso,
     Co’l foco, che ’l suo capo arde, e circonda.
     Scuote egli il capo, e porge al foco aiuto,
     Dove torlo intendea dal crine hirsuto.

Vede un pezzo di marmo à caso in terra,
     Soverchio peso à la sua debil forza;
     Si china irato, e con le man l’afferra,
     Poi di lanciarlo al suo rival si sforza.
     E dove à l’hoste suo crede far guerra,
     Ad un suo grand’amico il giorno ammorza,
     Che non giungendo, ù brama, il grave pondo,
     Comete, ch’ è de suoi, priva del mondo.

Tosto, che Reto il suo nemico vede,
     C’have un de suoi per debilezza morto,
     Ride, e gli dice. Hor qual ragion richiede,
     Che tu dia morte à tuoi, s’io ti fo torto?
     Io prego il ciel, ch’ogni altro, che ne fiede,
     Si mostri à par di te fero, et accorto.
     Alza in questo parlar l’ardente fusto,
     E fa senz’alma à lui cadere il busto.

Ne và, morto c’ hà lui, dove Driante
     Ristretto con Evagro, e con Corito
     Si fanno i mostri rei cadere avante,
     Altri del tutto morto, altri ferito.
     Alza lo stizzo Reto alto, e pesante,
     Perch’ uccida un garzon soverchio ardito:
     Sopra il miser Corito il legno scende,
     E senza l’alma in grembo à fiori il rende.