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Bellissima una vergine in Tessaglia
     Nacque d’Elato, nominata Cena.
     Ne sò dir, se in beltà tant’oggi vaglia
     Questa, per cui facciam la guerra, Helena.
     Gl’illustri Heroi di Cipera, e Farsaglia
     Seco bramar la coniugal catena;
     S’offerser del tuo stato, invitto Achille,
     Gli sposi, e d’ogn’intorno à mille à mille.

E forse anchora il tuo padre Peleo
     Vinto da le bellezze alme, e leggiadre,
     Havria bramato il suo dolce Himeneo,
     Ma sposa forse havea fatto tua madre.
     D’alcun di lor costei conto non feo,
     Ne volle per suo mezzo alcun far padre;
     Che destinato havea fin’à la morte
     Vivere in castità senza consorte.

Ma ’l Re del mar la vede un dì su ’l lido,
     E se n’accende, e fa, che non osserva,
     Come pensò co ’l pensier casto, e fido,
     La legge di Diana, e di Minerva.
     E ben ch’ella contenda, et alzi il grido,
     D’Amore, e del suo fin la rende serva.
     In ricompensa poi dice, ch’elegga,
     E la gratia, che vuol, palesi, e chiegga.

Poi c’hebbe l’infelice un pezzo pianto,
     Disse con modi vergognosi, e accorti;
     L’oltraggio, che m’hai fatto, è stato tanto,
     Che vuol, ch’anche gran premio io ne riporti.
     Perche altri far non mai possa altrettanto,
     Rendi le membra mie robuste, e forti;
     Fa, che viril l’aspetto habbia, e la gonna,
     Si ch’io per l’avenir non sia più donna.

Quel suon, che diè di lei l’ultimo accento,
     Non fu sì delicato, e sì soave;
     Ma qual fosse huom venuta, in un momento
     La voce risonò robusta, e grave.
     Il Re del mare à compiacerle intento,
     Com’ella il suo desio scoperto gli have,
     La fa maggior, le dà viril l’aspetto,
     Le fa più corto il crin, men grosso il petto.

E come Re magnanimo, e prestante,
     Che dà più liberal, ch’altri non chiede,
     Per dimostrar qual n’era stato amante,
     Un’altra à lei maggior donò mercede;
     A par d’ogni fortissimo diamante
     La pelle gl’indurò dal capo, al piede.
     Per maggior beneficio gli concesse,
     Che ferro alcun ferir mai no ’l potesse.

Dapoi detto Ceneo lieto si parte,
     Et ogni cura al viril studio intende.
     Per tutto appare, ovunque il fero Marte
     Fa, che fra le falange si contende.
     Hor mentre và cercando in ogni parte
     Del mondo, ove la guerra il mondo offende,
     Il figlio d’Issione empio, et audace,
     La bella Hippodamia sua sposa face.

Già in ordine ogni mensa era, e ’l convito,
     E vi fumavan sopra le vivande:
     Dov’era corso al liberale invito
     Ogni propinquo principe più grande.
     La vergine sedea presso al marito,
     Dotata di bellezze alte, e mirande.
     Et io, ch’anchora ad honorar gli venni,
     Fra i più honorati luoghi il luogo ottenni.

Furvi i Centauri anchor, che solo il padre
     Comune con lo sposo hebber novello,
     Che finser con le menti inique, e ladre
     D’honorar l’Himeneo del lor fratello.
     Ogni nuora, ogni vergine, ogni madre
     Con l’habito più splendido, e più bello
     Sedeano tutti à luoghi stabiliti,
     Divisi fra Centauri, e fra Lapiti.

Su l’altar nuttial fuma l’incenso,
     Con Himene Himeneo chi canta accoppia,
     E del popol, che v’è vario, et immenso,
     Lo strepito, e ’l romor nel ciel raddoppia.
     Ogn’un tien ne’ due sposi il lume intenso,
     Auguria ogn’un, che fia felice coppia.
     Ma ’l gran mal, che seguì poco più tardo,
     Fè l’augurio d’ogn’un restar bugiardo.