Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/428


libro

Da l’altro lato era smontato Aiace,
     E n’havea fatto scender mille, e mille.
     Sta in mezzo, e saper cerca Hettorre audace
     Da qual de’ colli sia smontato Achille.
     Ma ’l fato per quel dì non gli compiace,
     E no ’l vuol à le sue mostrar pupille:
     Vuol, che quel dì combatta il suo destino
     Con Achille non già, ma co ’l cugino.

Dal destro corno Hettorre ardito, e franco
     S’oppon con molti fanti, e cavalieri.
     Ma dove ha preso Achille il lato manco,
     Cigno s’oppon con molti altri guerrieri.
     Costui del forte Hettor non valea manco,
     E diè tante alme à regni afflitti, e neri
     Quel dì pria, ch’affrontasse il fier Pelide,
     Che stupido restar fe ogn’un, che ’l vide.

Trasse dal sangue già del Re de l’acque
     Le membra, ch’egli havea robuste, e belle.
     E di fare à lui gratia al padre piacque
     C’havesse inviolabile la pelle.
     Fin’al presente dì dal dì, che nacque,
     Trovossi in mille guerre acerbe, e felle;
     E ogni huom, ch’egli ferì, restar fe essangue,
     Ne alcun giamai da lui puotè trar sangue.

Mentre va contra Aiace il forte Hettorre,
     E Cigno contra il figlio di Peleo,
     Da quella arena Enea non si vuol torre
     Dove Protesilao l’alma rendeo.
     Anzi ivi tutti i suoi vuol contraporre
     A quel, che scender cerca, orgoglio Acheo.
     E fa scoccare à un tratto à mille l’arco
     Contra ogn’un, ch’occupar cerca quel varco.

Non può soffrir l’irato Diomede,
     Che l’essercito suo scenda sì tardo;
     Prende in mano un stendardo, e lancia il piede,
     E salta dentro al mar fiero, e gagliardo.
     Ne l’acqua insino al petto esser si vede,
     Pur volge contra Enea l’irato sguardo.
     E quanto altri giamai fiero, et ardito
     Va contra mille strali, e contra il lito.

Mill’altri dopo lui saltan ne l’onde,
     Ma prima ogn’un la picca al fondo appunta.
     Stassi in battaglia Enea sopra le sponde,
     E de l’haste à gli Achei mostra la punta.
     Stà in loco, che da gli archi, e da le fionde
     De legni la battaglia non è giunta.
     Già Diomede il fier l’arena prieme,
     Con forse mille picche unite insieme.

Enea, che non havea cavallaria,
     C’Hettor seguiro, e ’l figlio di Nettuno,
     Dismonta, et entra ne la fantaria,
     E fa nel primo fil core à ciascuno.
     Gli archi Troiani intendon tuttavia
     A mandar Greci al regno afflitto, e bruno.
     Enea va con vantaggio à Greci adosso
     Prima, che ’l campo lor venga più grosso.

Co’ suoi l’ardito Greco abbassa l’hasta,
     E l’impeto Troiano affronta, e fere.
     Hor mentre in questa parte si contrasta,
     Fan Cigno e Achille altrove urtar le schiere.
     Hettorre in quella pugna anchor sovrasta,
     Dov’ha spiegate Aiace le bandiere.
     Sovrasta il Troian campo in ogni loco,
     Che ’l Greco è male armato, infuso, e poco.

Sopra un cavallo Achille era montato
     Fortissimo, e leggier, nomato Xanto.
     Veloce una giumenta già del fiato
     Di Zefiro formogli il carnal manto.
     Ben di forbito acciar si trova armato,
     Ma non ha la sua lancia Pelia à canto.
     Hor poi che chi l’havea, giunto non era,
     Ne tolse una ordinaria, e più leggiera.

Sprona contra i Troiani empio, et altero:
     Non ricusa il suo scontro il forte Cigno.
     Ferisce ogn’un di lor sotto il cimiero,
     Senza che l’elmo alcun faccia sanguigno.
     D’ambi il cerro volò presto, e leggiero
     In mille scheggie al regno alto, e benigno.
     Rotta la lancia, alcun di lor non bada,
     Ma vuole il saggio anchor far de la spada.